L’obiettivo sembra chiaro. Il centrodestra è la squadra da battere, per dirla in gergo calcistico. E’ la coalizione che ha espresso la maggioranza alla Regione siciliana e che veleggia con numeri confortanti verso la data delle politiche del 2018 nella speranza che una accelerazione improvvisa potrebbe garantirgli anche l’insperata forza per poter governare il Paese senza alleanze.
Ma se così non fosse, la riedizione del Patto del Nazareno è quasi pronta da servire sulla tavola del grande centro moderato dove, da una lato, Forza Italia e, dall’altro, il Pd di Renzi sembrano poter convivere senza scossoni.
Ma il Partito Democratico non è solo Renzi. Ed ecco che i malpancismi siciliani non sono un caso isolato e arrivano al termine di un lungo periodo di fratture e divisioni che hanno portato i Dem a perdere clamorosamente le regionali nell’Isola e, a livello nazionale, a sprofondare nel gradimento degli elettori.
I fatti degli ultimi giorni, con le votazioni, prima per la scelta del presidente Ars e poi con l’indicazione dei vicepresidenti, svelerebbero gli equilibri e gli accordi (qualcuno parlerebbe di inciuci) che regolano i rapporti tra le forze politiche e che chiaramente rispondono a interessi che travalicano i confini dello Stretto.
Per una parte del Partito Democratico oggi l’unico modo per arginare l’avanzata del centrodestra e, in alternativa, il patto di governo con Forza Italia, che non piace affatto all’elettorato di centrosinistra, sarebbe quello di un’alleanza alternativa con il M5s, più forte e più avanti nei sondaggi.
A livello nazionale Di Maio sarebbe disposto alle larghe intese, escludendo a priori solo Berlusconi e Renzi. Sul piano locale una forza antisistema tra Pd e M5s, con qualche franco tiratore occasionale, potrebbe limitare lo spazio di manovra di Musumeci e della sua squadra.
Nel movimento si incomincia a comprendere che l’opposizione dura e pura non paga, i processi bisogna governarli dall’interno.
Il caso della vicepresidenza del Parlamento europeo al grillino Massimo Castaldo rappresenta un precedente replicato pochi mesi dopo dal Giancarlo Cancelleri all’Ars. Non un nome a caso.
In Sicilia i 5stelle conquistano una delle due poltrone di vicepresidente dell’Assemblea con 27 voti, 7 in più rispetto ai 20 deputati grillini eletti, quasi tutti provenienti dal gruppo del Pd, dagli stessi deputati che avrebbero voluto guastare la festa a Micciché con un accordo proprio con il M5s, saltato dopo l’opposizione dei renziani (4 Pd più 2 di Sicilia Futura), che puntavano invece all’intesa istituzionale con Forza Italia. Ma c’è di più. In questa frangia di dissidenti ci sarebbero anche pezzi della maggioranza del centrodestra (una piccola pattuglia, più di quei due franchi tiratori manifesti) che avrebbero voluto indebolire e ridimensionare proprio la leadership di Forza Italia all’interno della coalizione che ha eletto Nello Musumeci.
Quello che emerso tra i corridoi di Palazzo dei Normanni, sin dal primo momento, è stato che tutte le manovre non erano frutto di estemporanee strategie locali, ma di scelte ragionate con Roma e arrivate sui telefonini, con indicazioni Whatsapp che dettavano la linea. Quella del ministro Luca Lotti sarebbe solo una delle tante in un Partito democratico in balia delle correnti. Le dichiarazioni pubbliche e i comunicati stampa, successivamente, sono diventati un folkloristico scaricabarile su operazioni politiche riuscite in parte.
Twitter: @LucaCiliberti
Luca Ciliberti
Ars, il patto per far saltare Miccichè
di Luca Ciliberti. Il retroscena: il voto dei renziani rompe il tacito accordo tra dem e 5 stelle, che avrebbero messo all'angolo il coordinatore di Forza Italia