PALERMO – Quella condanna per detenzione di armi gli è costata l’espulsione dal programma protezione. Da allora il pentito Santino Di Matteo, padre del piccolo Giuseppe sciolto nell’acido l’11 gennaio del 1996, ne chiede il ripristino e da anni fa causa allo Stato.
“Io ho perso la cosa più cara che avevo al mondo per fare arrestare i miei complici che erano gli assassini del giudice Falcone. Ho perso mio figlio. E lo Stato che fa? Si dimentica di me, non mi protegge più”, afferma il pentito. Di Matteo aveva già presentato un ricorso al Tar contro l’esclusione dal programma di protezione.
“Ma andrò fino alla corte europea dei diritti dell’ uomo per avere ciò che mi spetta”, dice. Il figlio del pentito, Giuseppe, aveva 13 anni quando fu rapito, il 23 novembre 1993 per costringere il padre a ritrattare. Dopo 779 di prigionia il ragazzo fu strangolato e sciolto nell’acido su ordine di Giovanni Brusca. Per l’omicidio sono stati emessi una decina di ergastoli.
“Mi accusano di essere tornato a delinquere. Sì, è vero – dice Di Matteo – nel 1996 sono tornato in Sicilia per cercare mio figlio. Io vorrei vedere chi sarebbe rimasto a casa ad aspettare. Lo Stato lo cercava, per carità il dottor Lo Voi ha fatto tantissimo, è una persona seria, veramente seria. Anche il dottor Pignatone si impegnò tanto. Ma, purtroppo, sono arrivati in ritardo. Io, invece, ero arrivato prima, ma abbiamo sbagliato casa…”.
In quei giorni, Di Matteo si era unito a una banda capeggiata da un altro pentito, Balduccio Di Maggio, l’ex fedelissimo di Totò Riina. La direzione distrettuale antimafia di Palermo aveva anche chiesto la riammissione di Santino Di Matteo nel programma di protezione, ma la commissione centrale per i collaboratori si è opposta. Ecco perché il primo ricorso al Tar, che Di Matteo ha vinto.
Ma l’Avvocatura dello Stato ha impugnato il provvedimento. E, questa volta, il Consiglio di Stato ha dato ragione al ministero dell’Interno. I giudici hanno ribadito tuttavia che Santino Di Matteo va protetto, perché continua a essere a rischio, ha fatto arrestare centinaia di mafiosi e ha parlato dei segreti delle stragi.
“Io ho sbagliato, lo so – dice lui – ma quante vite ho salvato con le mie dichiarazioni”. Oggi, Santino Di Matteo, detto, “mezzanasca” vive lontano dalla Sicilia, lavora nella comunità di accoglienza gestita da un giovane sacerdote.
“Mi interessa solo vivere tranquillo.- afferma – Ma il ricordo di mio figlio Giuseppe è sempre presente. Nell’ultima telefonata, qualche tempo prima del rapimento, mi diceva: papà, come stai? Papà, non ti preoccupare”. Era lui che faceva coraggio a me. Aveva il dono del sorriso. E me l’ hanno ammazzato”.
Pentito Di Matteo fa causa allo Stato
Il collaboratore di giustizia, padre del bambino sciolto nell'acido da Brusca: "Non ho più protezione"