Renzi rompe il tabù e per la prima volta, in maniera inequivocabile, nella patria di don Luigi Sturzo, richiama nel Pd i valori della Democrazia Cristiana.
Il segretario dei democratici, ex presidente del consiglio, bersagliato e azzoppato dagli stessi compagni della sinistra che lui ha osato rottamare, imprime l’accelerazione al partito che nel frattempo sta cambiando pelle, cercando di restare incollato alle richieste di una società nuova e moderna, dove la famiglia, il lavoro, l’europeismo. Non le promesse, ma i fatti. Quelli piccoli, dei territori, delle singole comunità, delle chiese e delle parrocchie. Già, il tessuto che un tempo era il bacino elettorale della Dc, del mondo moderato, di un partito che non ha scritto il nome del suo leader nel simbolo.
Renzi guarda oltre. Ripercorre la storia per dare la linea al futuro. Cita Fanfani, Aldo Moro, La Pira, il sindaco santo come lo chiamano a Firenze, ispiratore della politica di Renzi. “Li chiama giganti del nostro tempo capaci di educarci”. Mette i paletti al popolarismo, che quando scivola dalle parti di Salvini e del M5s diventa populismo. Tutto e il contrario di tutto. Se i ‘liberi e forti’ non resteranno alla finestra, ma si impegneranno, allora vinceremo noi.
Era l’appello di do Sturzo il 18 gennaio del 1919, è l’appello di Matteo Renzi il 18 gennaio del 2018, 99 anni dopo, come dire: ci vediamo l’anno prossimo per centesimo anniversario, magari con il nuovo Partito Democratico Cristiano. In fondo, lui e Lorenzo Guerini, segretario e vice segretario del Pd, provengono proprio dal mondo della Democrazia Cristiana, mai troppo rimpianto nell’epoca “dei partiti di plastica”.