PALERMO – I carabinieri del comando provinciale di Agrigento, su disposizione della dda di Palermo, hanno eseguito l’arresto di 56 tra boss e gregari dei mandamenti di Cosa nostra agrigentina. Oltre 400 i militari impegnati nel blitz. L’inchiesta, la più imponente mai messa a segno nel territorio, ha disarticolato i “mandamenti” di Santa Elisabetta e Sciacca e ha colpito 16 “famiglie” mafiose. Coinvolti uomini d’onore anche delle province di Caltanissetta, Palermo, Enna, Ragusa e Catania.
In carcere, tra gli altri, è finito Francesco Fragapane, 37 anni, figlio dello storico capomafia di Santa Elisabetta Salvatore, da anni ergastolano al 41 bis. Scarcerato nel 2012 dopo aver scontato sei anni di prigione, Fragapane ha ricostituito e retto lo storico mandamento che comprende tutta l’area montana dell’agrigentino e i paesi di Raffadali, Aragona, S. Angelo Muxaro e San Biagio Platani, Santo Stefano di Quisquina, Bivona, Alessandria della Rocca, Cammarata e San Giovanni Gemini.
Fragapane era poi stato riarrestato e nuovamente liberato la scorsa estate: attualmente era sorvegliato speciale. Nell’inchiesta sono coinvolti diversi familiari del padrino di Agrigento e capimafia a lui alleati. L’indagine è coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Gery Ferrara e Claudio Camilleri in collaborazione con il Comando Provinciale guidato dal colonnello Giovanni Pellegrino. L’inchiesta fu condotta nelle fasi iniziali dal tenente colonnello Andrea Azzolini e nella fase esecutiva dal tenente colonnello Rodrigo Micucci. Le accuse contestate vanno dall’associazione mafiosa, al traffico di droga, alla truffa, estorsione e a un’ipotesi di voto di scambio.
Tra gli arrestati c’è infatti anche il sindaco di San Biagio Platani, Santino Sabella, eletto alle ultime amministrative, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. I pm della dda di Palermo gli contestano di avere concordato le candidature delle ultime comunali del 2014 con esponenti mafiosi di vertice del suo paese e fatto illecite pressioni nell’assegnazione di appalti.
L’inchiesta ha svelato pure legami tra le cosche locali e la mafia di tutte le province di tutta la Sicilia e le ‘ndrine calabresi. Accertate 27 estorsioni a imprese, negozi e anche a cooperative che si occupano dei richiedenti asilo. Sette società riconducibili ai clan sono state sequestrate.
Nel lungo elenco delle vittime del racket delle cosche agrigentine ci sono anche due associazioni che gestiscono l’accoglienza di migranti. Si tratta della Omnia Academy di Favara e della società cooperativa San Francesco di Agrigento. Le indagini hanno accertato che nel mirino delle estorsioni era finita anche una piccola organizzazione, costretta a pagare il pizzo alla famiglia mafiosa di Cammarata. La Omnia Academy raccoglie 15 extracomunitari richiedenti asilo distribuiti presso diversi enti locali della provincia di Agrigento.
Dell’estorsione alla Omnia Academy si erano occupati personalmente i presunti capomafia Calogerino Gambrone e Giuseppe Quaranta, che contattarono il rappresentante della associazione per chiedere un aiuto economico per la famiglia mafiosa. Dalle indagini è emerso che nella struttura era stata assunta anche la figlia del sindaco di Cammarata, Vito Mangiapane che, secondo i due mafiosi, avrebbe approfittato del suo ruolo per far assumere dall’ente la familiare. Mangiapane non è coinvolto nell’inchiesta.
Nel caso della coop San Francesco, invece, secondo le indagini era stato lo stesso responsabile a cercare l’appoggio del boss “per individuare – spiega il gip – un immobile da adibire a centro di accoglienza nell’area compresa tra i comuni di San Giovanni Gemini e Cammarata e successivamente ottenere le relative autorizzazioni comunali dalle amministrazioni locali”.
Calogerino Gamberone, secondo l’accusa, avrebbe curato la gestione di tutta la parte amministrativa relativa alle autorizzazioni comunali per regolarizzare l’immobile da destinare a centro di accoglienza, “con l’intento di ottenere, quale corrispettivo dell’interessamento, l’assunzione da parte della cooperativa di persone vicine al clan e il pagamento di una somma in denaro da stabilire in percentuale sul numero degli immigrati ospitati nel centro”.
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