CATANIA – Il Tribunale di Catania ha condannato il ministero della Salute a pagare i danni procurati dalla tecnica di vaccinazione a un militare che ha contratto l’epatite cronica prima di partire per una missione all’estero.
Secondo il difensore del ricorrente, l’avvocato Silvio Vignera, il risarcimento complessivo è di circa 3 milioni di euro. Il consulente del giudice nella sua relazione non mette in dubbio la sicurezza del vaccino, ma la tecnica di somministrazione plurima in poco tempo e senza adeguati controlli medici.
“Emerge come spesso sui militari – scrive il consulente – sono fatte in pochi giorni senza valutare lo stato di salute e soprattutto un eventuale immunodepressione del soggetto”. E conclude: “Il ricorrente… è affetto da epatite cronica a forte impronta colestatica di verosimile natura autoimmune ed esiste nesso casuale tra le vaccinazioni praticate e la patologia di cui il militare è affetto”.
“Al militare, nel 2000, prima di partite per una missione all’estero – ricostruisce l’avvocato Vignera -, nell’arco di 4 giorni sono state praticate ben sette dosi di vaccini, comprese quelle anti epatite di tipo A e B. Nel 2002 ha cominciato a sentirsi male e ha iniziato a sottoporsi a visite mediche e analisi di laboratorio per accertare le cause del suo malessere. Agli inizi del 2009 al militare veniva diagnosticata una epatopatia cronica di natura da definire”.
La commissione medico-ospedaliera di Palermo non riconosceva il nesso causale tra la malattia e le vaccinazioni che gli erano state praticate e il militare ha presentato ricorso amministrativo al ministero della Salute, che veniva respinto. Il caso è stato quindi trattato dal giudice del Lavoro del Tribunale di Catania, Caterina Musumeci che, dopo una consulenza tecnica d’ufficio, accoglieva il ricorso del militare riconoscendo il “nesso causale tra l’infermità da lui contratta e le vaccinazioni somministrategli nel 2000”.
“È un fatto, quello occorso al militare che ha contratto l’epatite cronica dopo la somministrazione di sette dosi di vaccino in quattro giorni, estremamente grave”, afferma l’avvocato Vigneri.
“Come hanno riconosciuto il Tribunale di Catania, il consulente nominato in giudizio e la Commissione parlamentare d’inchiesta istituita nel 2015 dalla Camera dei Deputati – osserva il legale – nei militari è necessario svolgere esami pre-vaccinali, sia al fine della valutazione di immunità già acquisite, sia al fine dell’accertamento di stati di immunodepressione che sconsiglino di somministrare il vaccino in quello specifico momento”.
L’avvocato Vignera, che è anche vice presidente dell’associazione no profit Tutela degli epatopatici e malati danneggiati (Atem), ricorda che “non è consigliabile effettuare vaccinazioni pochi giorni prima della partenza per le missioni perché al momento della vaccinazione si crea uno stato fisico di immunodepressione che paradossalmente determina un aumento del rischio di contrarre o la stessa malattia per cui è stata fatta la vaccinazione o altra patologia, data la possibile situazione fisica di immunodepressione dei militari”.
“Nelle difese – conclude il legale del militare – abbiamo posto solo le richieste necessarie a condurre il processo a definizione nel più breve tempo possibile”.
Secondo il consulente del giudice, ricorda Rezza, non sarebbe in dubbio la sicurezza del vaccino, ma la “tecnica di somministrazione plurima in poco tempo e senza adeguati controlli medici”.
I vaccini somministrati, infatti, spiega, “non possono avere alcun ruolo nell’insorgenza dell’epatite in questo soggetto: lo stesso vaccino anti-epatite somministrato al giovane non può assolutamente aver attivato l’infezione, neanche in un soggetto immunodepresso, poichè è un vaccino ricombinato e non contiene il virus. Anche la modalità di somministrazione plurima in pochi giorni – precisa – nulla ha a che fare con l’insorgenza dell’infezione”.
Dunque, commenta Rezza, “non si comprende come il soggetto possa essersi infettato. L’unica ipotesi eventualmente da verificare è che si sia verificata un’azione di malpractice, e cioè che si sia utilizzato uno stesso ago contaminato perchè usato già per un altro paziente evidentemente infetto. Questo comporterebbe il rischio di epatite anche se simili evenienze sono rarissime”.
Rezza ribadisce di non sconoscere il caso specifico ma sottolinea come la procedura di vaccinazione non possa essere la causa dell’epatite contrattata dal militare: “L’epatite infatti – conclude l’esperto – si trasmette solo da un soggetto infetto ad un altro tramite il contatto con il sangue e, dunque, anche a seguito del contatto con siringhe, aghi o altri strumenti medici contaminati”.
Militare contrae l’epatite dopo il vaccino, tre milioni di risarcimento dal ministero
Il tribunale di Catania ha messo sotto accusa la somministrazione plurima in poco tempo e senza adeguati controlli medici