CALTANISSETTA – “Io ero un collaboratore non un pentito. Il pentito si pente delle cose. Loro attraverso me volevano che nascessero altri pentiti. Per me è stato insopportabile soggiacere a queste torture”. Lo ha detto il falso pentito Vincenzo Scarantino rispondendo alle domande dei legali della difesa nel processo per i presunti depistaggi nella strage di via D’Amelio il 19 luglio ’92 a Palermo.
Scarantino ha anche parlato della Fiat 126 utilizzata per la strage spiegando che lui ha parlato di un’automobile che era ridotta a un rottame perché ne prelevava i pezzi e che poi era sparita.
“Mi convinsi a collaborare con gli inquirenti – ha anche detto l’ex picciotto della Guadagna – a causa del terrorismo psicologico che subivo in carcere a Pianosa. Tutto il terrorismo che mi hanno fatto, non solo mentale ma anche fisico. E’ stato un cumulo di tante cose”.
Scarantino: “Collaboratore, non pentito”
A Caltanissetta tiene banco il processo sulla strage mafiosa di via D'Amelio, l'ex picciotto della Guadagna ha riferito di aver subito pressioni in carcere a Pianosa