PALERMO – La notizia arriva da un quartiere noto a Palermo, lo Zen, alta densità criminale, luogo di spaccio e teatro spesso di blitz delle forze dell’ordine. Ed è una notizia che fa ben sperare. Durante una processione religiosa organizzata nell’anniversario della morte di Padre Pio, una ventina di devoti hanno portato, a passo di musica, la statua del Santo che stavolta è stata fatta fermare non davanti alla casa del boss locale, come accaduto in Sicilia più volte, ma di fronte alla caserma dei carabinieri.
L’associazione Padre Pio e i fedeli hanno voluto così dare un segnale ai cittadini del quartiere. Gli organizzatori hanno rispettato anche l’ordine della questura di non sparare i fuochi di artificio. Nel rione palermitano è in parte ambientato anche l’ultimo discusso film di Franco Maresco “Non c’è più la mafia di una volta”, presentato al Festival di Venezia. Il regista riprende una festa di quartiere con cantanti neo melodici organizzata allo Zen per l’anniversario delle stragi Falcone e Borsellino in cui nessuno prende pubblicamente le distanze da Cosa Nostra. Questa volta, invece, alcuni abitanti del quartiere hanno voluto dimostrare platealmente la loro vicinanza alle forze dell’ordine e il rifiuto di ogni forma di reverenza nei confronti della mafia.
Anche il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, ha manifestato il suo plauso per il gesto dei fedeli e ha telefonato al parroco dello Zen per esprimergli la vicinanza e il sostegno nella sua battaglia quotidiana per la riaffermazione della legalità. “Un gesto profondo in un quartiere difficile che sottolinea un’inversione culturale”, commenta il comandante provinciale dei carabinieri di Palermo, Arturo Guarino. La scelta di omaggiare lo Stato e non la mafia arriva dopo un lungo passato di tributi riservati ai padrini locali. L’ultimo risale al luglio scorso, quando a Villafrati, l’arciprete fermò la processione del Corpus Domini davanti alla casa di un capomafia in carcere, Ciro Badami, uno dei fedelissimi di Bernardo Provenzano.
Il maresciallo e il sindaco lasciarono la processione e l’episodio venne segnalato al prefetto e all’arcivescovo. Ma un precedente ancor più eclatante avvenne il 29 maggio 2016 a Corleone quando la processione per San Giovanni Evangelista arrivò davanti alla casa della famiglia di Totò Riina e il confrate Leoluca Grizzaffi, suonò la campanella per ossequiare la famiglia del defunto capo di Cosa nostra. Il sacerdote, il 24 ottobre di un anno fa per quell’inchino venne condannato a sei mesi di reclusione dal Tribunale di Termini Imerese.
Il lungo elenco di omaggi all’antistato porta anche nel Catanese. Il 2 dicembre del 2015 a Paternò, con un doppio ‘inchino’ davanti alla casa di Salvatore Assinnata storico boss legato alla famiglia Santapaola. Due cerai che erano in processione per la festa della Patrona, Santa Barbara, si fermarono davanti alla sua abitazione ed eseguirono a turno il classico ‘dondolamento’ simulando un inchino reverenziale. Gesto non gradito però dal capomafia che preferiva “non attirare l’attenzione”, dirà poi intercettato.
E ancora, il 25 marzo 2016 a San Michele di Garanzia, durante la processione del Venerdì Santo, la bara con il Cristo Morto deviò dal percorso previsto, con il forte dissenso di sindaco, parroco e del comandante della Stazione dell’Arma per raggiungere lo spiazzo dove c’era la casa dei familiari del boss Francesco La Rocca.
Processione con inchino ai carabinieri
Allo Zen di Palermo segnale di legalità con la statua di Padre Pio davanti alla caserma in risposta ai tanti omaggi ai boss