Aumentano i contagi tra i 15 e i 24 anni, le diagnosi sono spesso tardive e aumenta il numero delle persone sieropositive viventi, che attualmente in Italia sono circa 130mila. Le terapie esistenti sono efficaci ma bisogna migliorare aderenza, prevenzione e accesso ai test. A fare il punto, la tavola rotonda promossa da “Rompiamo il silenzio sull’Hiv”, organizzata presso il ministero della Salute dalla Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), con il supporto non condizionato di Msd.
I dati mostrano che le nuove infezioni sono diminuite del 20% nel 2018 rispetto al 2017 e le morti ridotte di un terzo tra il 2000 e il 2016. Questo ha a che fare con l’accesso universale alla terapia, spiega Andrea Antinori, direttore Uoc Immunodeficienze Virali dell’Istituto Spallanzani di Roma.
“La persona Hiv-positiva in terapia antiretrovirale – chiarisce – ha la viremia soppressa e non trasmette l’infezione. Questo fondamentale principio epidemiologico, definito ‘Terapia come Prevenzione’ è alla base della riduzione delle nuove diagnosi osservata in altri paesi europei”. I progressivi miglioramenti hanno portato ad un calo di attenzione sul tema dell’Hiv che ha ridotto la percezione del rischio, soprattutto tra i più giovani, rispetto agli anni passati.
In particolare, osserva Claudio Mastroianni, professore ordinario di Malattie Infettive presso l’Università Sapienza di Roma e segretario Simit, “a preoccupare è l’aumento del picco di incidenza tra le persone al di sotto dei 30 anni e un aumento della percentuale di persone che scoprono di essere sieropositive per Hiv nella fasi avanzata della malattia (57% nel 2018), numero che colloca l’Italia al di sopra della media europea”.
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