ROMA – Alla prima prova importante dopo lo “scandalo nomine”, scoppiato alla fine della primavera con le intercettazioni delle indagini sul pm romano Luca Palamara e culminato con le dimissioni di cinque consiglieri, il Csm si divide. E lo fa proprio sulla nomina più delicata, quella di Procuratore generale della Cassazione, il “capo” dei pm italiani, che ricopre anche la funzione di titolare dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati e componente di diritto del Csm.
Su quella poltrona, scoperta dal luglio scorso, con il pensionamento anticipato di Riccardo Fuzio -ulteriore strascico del caso Palamara- siederà per la prima volta un “papa straniero”, non un magistrato che ha svolto quasi tutta la sua carriera all’interno della Cassazione, come sinora era avvenuto. Alla soluzione interna che era rappresentata dall’avvocato generale della Cassazione Marcello Matera, il plenum ha preferito il Procuratore generale di Roma Giovanni Salvi, in passato procuratore capo a Catania e consigliere del Csm (eletto nelle liste di Magistratura democratica), che già partiva come candidato favorito e che ha battuto anche il terzo concorrente, il Pg di Napoli Luigi Riello. Ma i consiglieri si sono divisi. E così Salvi è passato a maggioranza: 12 i voti a favore contro i quattro andati a Riello e i 3 ottenuti da Matera; cinque le astensioni, tra cui quella consueta del vice presidente del Csm David Ermini.
LA MAGGIORANZA INEDITA. LA votare per Salvi è stata una maggioranza inedita: i togati di Area (il gruppo delle toghe progressiste in cui è confluita Md, senza sciogliersi), quelli di Autonomia e Indipendenza (la corrente di Davigo che a seguito del terremoto ha più che raddoppiato la sua rappresentanza, da ultimo con l’elezione di Nino Di Matteo) e i laici del M5S.
IL SEGNALE DI MATTARELLA. La seduta era presieduta dal capo dello Stato, che del Csm è il presidente e che a giugno, nel pieno della bufera che aveva investito Palazzo dei marescialli, aveva rivolto un duro monito ai consiglieri, parlando di un “quadro sconcertante e inaccettabile” emerso dall’inchiesta di Perugia e invocando anche una riforma interna per assicurare “regole puntuali e trasparenza” delle decisioni. Anche oggi, dopo aver espresso gli auguri di buon lavoro a Salvi e la certezza che il nuovo Pg “apporterà un alto contributo di professionalità e capacità organizzativa” e darà un “contributo prezioso al funzionamento efficace e trasparente del Csm”, Sergio Mattarella ha rivolto ai consiglieri un richiamo: “il Consiglio ha oggi più che mai la necessità di dover assicurare all’ordine giudiziario e alla Repubblica che le sue nomine siano guidate soltanto da indiscutibili criteri attinenti alle capacità professionali dei candidati”.
Un solo passaggio esplicito alle vicende di questa estate, quando, nel ricordare l’attività svolta da Fuzio nel ruolo di procuratore generale, Mattarella ha sottolineato anche “il senso delle istituzioni” manifestato con la sua scelta di lasciare l’incarico “in un momento particolarmente delicato e difficile per tutta la magistratura”. “La nomina del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione è la prima,importante occasione per dare un segnale forte di un cambio di registro” aveva detto prima del voto il togato di Area Giuseppe Cascini, deluso dalla presenza di tre proposte alternative, segno della “difficoltà di trovare attraverso il dialogo e il confronto soluzioni condivise nell’esclusivo interesse generale”. A breve un nuovo banco di prova, con la nomina del successore di Giuseppe Pignatone, al vertice della procura di Roma.
CHI E’ GIOVANNI SALVI. In magistratura è da 40 anni. E la sua lunga carriera è segnata da due costanti: il legame con Roma, sua città di adozione, e con le funzioni di pubblico ministero, che non ha mai smesso se non per brevissimi periodi. Giovanni Salvi, il “papa straniero” a cui il Csm ha assegnato l’incarico di procuratore generale della Cassazione (ed è la prima volta che accade), alla capitale è legato a stretto filo.
Nato a Lecce, 67 anni fa, Salvi è arrivato alla procura di Roma nel 1984 e ci è rimasto per 20 anni. Un lunghissimo arco di tempo in cui si è occupato di indagini delicate, come quelle sulla strage di Ustica, gli omicidi di Mino Pecorelli e Roberto Calvi e di inchieste sui Nar e le Br.
Un’esperienza interrotta nel 2002, quando Salvi è stato eletto componente togato del Consiglio superiore della magistratura , nella lista di Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe confluita negli ultimi anni in Area, senza però sciogliersi. A Roma è poi tornato da procuratore generale nel 2015, nominato all’unanimità dal Csm.
Quattro anni prima invece era passata sul filo di lana la sua nomina a procuratore di Catania. E da quell’ufficio, che ha guidato dal 2011 al 2015, ha coordinato numerose inchieste sul traffico dei migranti e sulla mafia. Indagini che con la collaborazione dei capi di Cosa Nostra catanese, hanno consentito di individuare i responsabili di delitti centrali per la ricostruzione delle vicende nazionali dell’organizzazione mafiosa, come l’omicidio di Luigi Lardo.
Se è vero che è la prima volta che il Csm non ha scelto una soluzione interna per il vertice della procura generale della Cassazione, Salvi non è del tutto estraneo all’ufficio che dovrà guidare: vi ha lavorato per 4 anni, dal 2007 al 2011, con le funzioni di sostituto Pg. E’ stato anche vicepresidente dell’Associazione nazionale magistrati negli anni dello scontro tra le toghe e il governo Berlusconi. A cercare negli archivi non sono tante le sue esternazioni. L’ ultima l’ ha fatta per invocare rispetto per il lavoro della procura di Roma, dopo che la Cassazione ha fatto cadere l’accusa di associazione mafiosa per i condannati dell’inchiesta sul Mondo di mezzo.
Salvi “papa straniero” in Cassazione
L'ex procuratore di Catania, oggi a Roma,è il nuovo pg della Suprema Corte eletto a maggioranza dal plenum del Cms, prende il posto di Fuzio dimesso a luglio