Doveva essere una semplice recensione. “Il suicidio di Zalone”. D’accordo, un titolo un po’ estremo, per esprimere un parere su un film con qualche difficoltà rispetto ai brillantissimi precedenti.
E’ finita che come gli incassi di Tolo Tolo anche l’articolo è diventato milionario: due milioni di visualizzazioni in un paio di giorni. Come se lo avessero letto gli abitanti di Vienna o di Toronto, il 3% degli italiani. Una follia collettiva che richiede un ringraziamento a tutti, da Catania a Timbuktu.
Due o trecentomila dissensi ci sono stati, ma con toni pacati e ragionevoli, secondo le usanze internettiane. Giusto perché ha pubblicato un’opinione sul comico del millennio, un giornalista può scoprire di essere xenofobo, nazicomunista, leghista, sinistroide, cazzaro verde, giornalaio, terrone, idiota, imbecille, ignorante, malato, penoso, sovranista, zappatore, falso, razzista, stupido, mediocre, osceno, coglione, ridicolo, parassita, patetico, rosicatore, arrogante, invidioso, squallido, venduto, torbido, disanimato, superficiale, imbarazzante, capra, inutile, intellettualoide, pessimo, capzioso, ubriaco, lercio e incompetente.
Nemmeno se in discussione ci fossero state le fedi religiose o le mamme dei lettori-commentatori. Qualcuno si è proposto come psicanalista, uno più audace si è addentrato nel profilo personale di Facebook. “Sei tu che quello che scrive recensioni?”. “Sì, perché?”. “Ahah, mi fai solo pena…”.
E’ complicatissimo fare una classifica, ma i migliori forse sono loro: “Il poverello fascista che ha scritto questo articolo andrebbe licenziato”. E “Sig.r Emanuele grosso io ho visto il film e mi è piaciuto moltissimo. Penso che la sua recensione sia frutto della cosiddetta ” invidia del pene ” di cui lei soffre, che nell’inciso questo pene che ha zalone è la genialità che a lei manca se no non avrebbe fatto il critico cinematografico… Poteva dire questo film non mi piace e finirla li sarebbe stato più onesto e soprattutto non avrebbe annoiato a morte quanti come hanno sprecato 3 minuti del loro tempo a leggerlo. Concludendo uno che non sa fare l’artista fa il critico”.
Non bisognerebbe più sorprendersi, eppure tutto questo fa una certa impressione. L’obiezione nettamente più diffusa è stata (nella versione più edulcorata possibile) “Ma se ha guadagnato un botto, con quale coraggio si può parlare di suicidio?”. Come se un film non potesse essere maldestro o difettoso “solo solo” perché incassa soldi a palate, approfittando del credito illimitato di “Quo vado?” e predecessori. I milioni di Zalone sono molto più belli, non si discute, ma quelli della recensione non sono poi così malaccio.
Zalone, la recensione e il doppio milione
di Emanuele Grosso. Storia di un articolo che ha raccolto due milioni di visualizzazioni (e migliaia di insulti)