MESSINA – C’erano i figli degli storici capimafia della zona ai vertici dei clan di Barcellona Pozzo di Gotto. Emerge dall’indagine della Dda che ha portato a 59 arresti.
I rampolli mafiosi, figli di boss detenuti, erano a capo di una struttura criminale che operava con metodo mafioso, nel traffico e nella distribuzione di fiumi di cocaina, hashish e marijuana, nell’area tirrenica della provincia di Messina e nelle isole Eolie, anche rifornendo ulteriori gruppi criminali satelliti, attivi nello spaccio minore.
Tra gli arrestati ci sono Nunzio Di Salvi, figlio di “Sam” Di Salvo; Vincenzo Giolitti, figlio del capo della famiglia mafiosa barcellonese Giuseppe, e Cristian Barresi, figlio di Eugenio e nipote del boss Filippo Barresi.
I tre “figli d’arte” hanno assunto ruoli di rilievo nell’attività del traffico di stupefacenti. Erano loro a risolvere le controversie legali ai traffici di droga e a tenere i rapporti con altri gruppi criminali calabresi e catanesi fornitori delle partite di stupefacenti che venivano poi distribuite nell’area tirrenica della provincia di Messina, anche attraverso gruppi minori, autorizzati a spacciare sul territorio a Milazzo, Terme Vigliatore e a Lipari.
L’operazione ha fatto luce anche su numerose estorsioni messe a segno da anni da esponenti della famiglia mafiosa a commercianti e imprese del territorio barcellonese. Commercianti, imprenditori, agenzie di pompe funebri, ma anche chi vinceva alle le slot machine finiva nel mirino del racket nel messinese. I clan di Barcellona Pozzo di Gotto chiedevano soldi a tappeto. A raccontare i particolari delle attività illegali delle cosche sono diversi pentiti come Carmelo D’Amico, Aurelio Micale e Nunziato Siracusa.
I collaboratori di giustizia hanno riferito che due ragazzi, avevano vinto 500 mila euro giocando a una slot-machine installata nel centro scommesse Snai di Barcellona Pozzo di Gotto. La vincita aveva suscitato l’interesse dell’organizzazione mafiosa barcellonese che si è subito attivata per chiedere il pizzo sull’incasso, riuscendo a ottenere con le minacce 5 mila euro.
Gli incassi del racket non sono più sufficienti, le vittime delle estorsioni, in difficoltà per la crisi economica, denunciano. Per questo la mafia di Barcellona Pozzo di Gotto è tornata a puntare al vecchio business della droga.
Per il pentito ex mafioso Alessio Alesci “con le estorsioni non si guadagnava più, le persone denunciavano e volevano fare con la droga. C’era la crisi e le persone soldi non ne avevano e si è parlato di prendere la droga. La prendeva uno e valeva per tutti, il ricavato andava a tutti”.
Dalle intercettazioni – nei dialoghi gli affiliati usavano un linguaggio in codice per indicare lo stupefacente – emerge che la cosca si riforniva di droga in Calabria dalla ‘ndrangheta.
LE PIAZZE DI SPACCIO. Tra le più redditizie piazze di spaccio c’era l’isola di Lipari dove operavano due distinti gruppi criminali con a capo Simone Mirabito, Andrea Villini e Antonio Iacono. Le due bande agivano in regime di duopolio servendo la clientela dell’isola con ogni tipo di droga parte della quale veniva acquistata tramite la famiglia mafiosa barcellonese.
A Terme Vigliatore è stata accertata un’altra piazza di spaccio gestita da un gruppo organizzato che vendeva cocaina e marijuana, ed era in contatto con esponenti del clan barcellonese. I pusher utilizzavano come base logistica, il bar “Il Ritrovo” che è stato sequestrato. Altra banda operava a Milazzo con Francesco Doddo, Giovanni Fiore, Francesco Anania, Gjergj Precj e Sebastiano Puliafito.
Uno dei principali canali di approvvigionamento di droga del clan barcellonese era quello calabrese che faceva capo a Giuseppe Scalia che provvedeva a consegnare la droga ai corrieri barcellonesi e milazzesi che si organizzavano per prelevarla solitamente in Calabria attraverso lo stratagemma del noleggio di autovetture di comodo o utilizzando degli scooter o talvolta, per evitare i controlli stradali di polizia, attraversando lo stretto senza mezzi di trasporto per poi fare rientro a Messina con zaini o borsoni carichi di droga.
A Catania, a interagire con i barcellonesi e con il gruppo dei milazzesi era Salvatore Laudani, sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e collegato alla criminalità mafiosa catanese. Infine i barcellonesi si rifornivano a Messina da Francesco Turiano del clan di Mangialupi.
“Come dimostrato da questa operazione la tradizione di Cosa nostra si tramanda di padre in figlio, vale per quella palermitana, ma anche per tutte le altre forme organizzative mafiose – ha detto il procuratore di Messina Maurizio De Lucia -. Una volta che i boss sono in carcere gli spazi devono essere occupati: o c’è una guerra e qualcun altro prende il potere di chi è in carcere, o c’è una successione indolore come in questo caso”.
“Una brillante operazione dei carabinieri in contrasto alla criminalità della fascia tirrenica del Messinese. Dopo l’operazione di qualche settimana fa nel territorio dei Nebrodi oggi ci siamo soffermati su un’altra area della provincia con la disarticolazione della criminalità organizzata nel territorio. Emerge – prosegue De Lucia – l’attività dello spaccio e distribuzione di droga oggi una necessità proprio per accumulare subito capitali in modo veloce, in vista anche dell’ estate dove questa attività aumenta perché si incrementa la distribuzione in particolare nelle isole Eolie dove il mercato della droga è notevole nel periodo estivo”.
“Questa indagine – aggiunge il sostituto procuratore Vito Di Giorgio – è una svolta storica nel contrasto alla mafia barcellonese prima contraria allo spaccio di droga, prova ne è che gran parte degli omicidi del passato nascevano dal traffico non autorizzato di spaccio di stupefacenti. Inoltre, adesso molto degli esponenti del clan sono stati arrestati e c’era necessità di mantenere le famiglie di queste persone in carcere. Quindi era necessario un veloce aumento di denaro e si è deciso di dedicarsi al traffico di droga”.
I NOMI DEGLI ARRESTATI. ANANIA Francesco, 53enne; BARRESI Cristian, 32enne; BENENATI Carmelo, 34enne; BERTOLAMI Daniele Salvatore, 33enne; BUCOLO Salvatore, 31enne; BONFIGLIO Pietro, 49enne; CALABRÒ Mariano, 34enne; CALDERONE Alessandro, 22enne; CALIRI Dylan Seby, 22enne; CALIRI Pietro, 48enne; CANNISTRÀ Carmelo, 26enne; CHILLARI Salvatore Felice, 42enne; CHIOFALO Antonino, 23enne; CHIOFALO Carmelo, 40enne; CRINÒ Giovanni, 34enne; DI SALVO Nunzio, 34enne; DODDO Francesco Duilio, 56enne; FEBO Claudio, 39enne; FIORE Giovanni, 30enne; FORMICA Marco, 31enne; FOTI Carmelo Vito, 53enne; FUGAZZOTTO Luciano, 56enne; GALLO Vito Vincenzo, 39enne; GENOVESE Filippo, 33enne; GIARDINA Mattia, 20enne; GIARDINA Tindaro, 33enne; GRASSO Nunzio Antonino, 45enne; GULLOTTI Vincenzo, 27enne; IACONO Antonino, 25enne; IANNELLO Maurizio, 31enne; IANNELLO Francesco, 35enne; LAUDANI Salvatore, 40enne; MARINO Samuele, 29enne; MAZZÙ Carmelo, 31enne; MAZZÙ Lorenzo, 34enne; MIRABITO Simone, 29enne; MUNAFÒ Massimiliano, 50enne; NDOJ Edomond, 41enne; PICCOLO Matias Jesus, 26enne; PICCOLO Salvatore, 53enne; PORCINO Angelo, 63enne; PRECI Gjergj, 33enne; PULIAFITO Giuseppe, 29enne; PULIAFITO Sebastiano, 54enne; QUATTROCCHI Carmelo, 44enne; RECUPERO Antonino, 29enne; ROSANO Vincenzo, 51enne; SCALIA Giuseppe, 50enne; SCARPACI Francesco, 29enne; SCORDINO Carmelo Tindaro, 57enne; SCORDINO Tindaro Santo, 35enne; SGROI Andrea, 24enne; SOFIA Giovanni, 36enne; SPADA Sergio, 39enne; TORRE Filippo, 53enne; TORRE Giuseppe, 25enne; TURIANO Francesco, 35enne; VILLINI Andrea, 24enne.
IL MINISTRO LAMORGESE. “FORTE SEGNALE DELLO STATO”. “Un nuovo duro colpo è stato inferto alle organizzazioni criminali”. Lo dice il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese complimentandosi con la Dda di Messina ed i carabinieri del Comando provinciale e del Ros per l’operazione che ha portato all’arresto di decine di appartenenti ad una cosca mafiosa di Barcellona Pozzo di Gozzo.
“L’eccellente attività investigativa ha anche consentito di fare luce sulle numerose estorsioni attuate da anni nei riguardi di esercenti ed imprese. Un segnale forte di presenza dello Stato – ha aggiunto la titolare del Viminale – tenuto conto che simili vessazioni hanno un costo economico-sociale altissimo, in quanto non rappresentano soltanto un mezzo per ottenere profitti illeciti ma anche per assicurarsi il controllo del territorio”.
Secondo il ministro, “il succedersi di operazioni antimafia dimostra l’incisività dell’azione della magistratura e delle forze dell’ordine sull’intero territorio nazionale: la lotta alla criminalità organizzata costituisce una priorità e tutte le istituzioni sono impegnate con determinazione per garantire la legalità e la sicurezza dei cittadini”.
Colpo alla cupola dei barcellonesi
VIDEO I summit e gli incontri al bar
Inchiesta della Dda di Messina, 59 arresti: in manette i rampolli dei boss detenuti. Sgominate piazze di spaccio a Lipari, Terme Vigliatore e Milazzo. Estorsioni anche a chi vinceva alle slot machine. TUTTI I NOMI