La cosa più bella di “1917” è la gentilezza inglese. Tutte le cinquanta volte che il protagonista chiede al volo un’informazione per raggiungere affannosamente qualcuno o qualcosa, anche nelle condizioni di disagio più disperate non c’è uno che non gli risponda. “Il colonnello? Seconda baracca a sinistra”, dicono con assoluto aplomb britannico i soldati in trincea sotto una gragnola di colpi tedeschi. Ci fosse un povero diavolo che lo ignora o lo manda a quel paese: tutti cortesissimi e disponibili come fossero al circolo degli scacchi.
Ecco, 1917 è un po’ così: una colossale, sontuosa e fintissima messa in scena. Dilaniato tra la forza di esplorare una nuova frontiera cinematografica, nel suo caso tecnologica (come Quarto potere, Matrix, Inception, Revenant), e la debolezza di disattendere quella regoluccia secondo la quale chi guarda un film non deve pensare ogni secondo “sto guardando un film”.
Quel “ma come diavolo fanno a girare così?” che non va più via dalla prima scena in poi, si trasforma quasi subito da sintomo di stupore in allergia all’artificialità. Mentre i due ragazzi avanzano in questa specie di infinito piano sequenza videoludico, sfuggendo alle più elementari convenzioni della suspance gli spettatori non vengono mai sfiorati dalla sensazione che possa succedere loro qualcosa di spiacevole.
Sono tutti troppo impegnati a seguire questa siderale esercitazione di ripresa, con un paio di scene veramente incredibili (l’esplosione sotterranea e il fiume) e un’abbondantissima quantità di roboante musica epica che ti strombazza nell’orecchio l’ordine “Ti devi emozionare!”. Ci saranno anche i Golden Globe che si è pappato e 10 candidature all’Oscar, ma l’unica possibilità è l’insubordinazione.
Il colonnello? Sempre dritto
di Emanuele Grosso. 1917: tutte le assurdità di un film candidato a 10 Oscar