Per rendere odioso un onesto film truculento coreano è sufficiente fargli vincere i tre Oscar più importanti in circolazione. E poi vederlo riesumare anche nelle sale più sperdute della provincia, dove un tempo se ti azzardavi a proiettare qualcosa senza Boldi eri rovinato.
Siccome è escluso che i gusti degli esseri umani si siano elevati, è ufficiale: Parasite è raccomandato. C’è un limite al ripescaggio cinematografico, anche se da Cannes a Los Angeles non la smettono di premiarlo. Addirittura la versione in lingua originale, ma anche il precedente film semi-sconosciuto di Bong Joon-ho e il rilancio perfino a Mascalucia: è troppo.
L’unico modo per giustificare cosa ci sia di tanto ipnotico e seducente in una storia che parte dignitosamente come una scalata dei poveri-ma-furbi alla bella vita dei ricchi-ma-ingenui e va a finire in un’insostenibile mezz’ora di delirante ferocia grandguignolesca prettamente coreana, è attribuirlo al “fa figo” e al “si è saputo vendere”.
Ma allora Ferro 3, Old boy e Moebius, per restare con i compatrioti di Parasite, quante decine di Oscar avrebbero dovuto incassare? E Joker quanti, 135?
Il conforto per l’animo cinefilo alla fine è sempre lo stesso: non può che valere un fico secco un premio che considera prevalentemente potere e marketing. Per non parlare di Cannes, dove se sei meno cervellotico di Greenaway e Wes Anderson non puoi vincere nemmeno un pelouche. Parasite non è così complesso, ma è violento, coreano e para-qualcos’altro su un tema che fa leccare i baffi a tutti: la lotta di classe. Un argomento che finora non si era mai sentito.
No, pure a Mascalucia ‘Parasite’ no
di Emanuele Grosso. C'è un limite al ripescaggio furioso di un onesto film splatter coreano