“Via D’Amelio non fu solo strage di mafia”

Palermo. Il consigliere del Csm Di Matteo depone in aula sui presunti depistaggi, alla sbarra tre poliziotti

PALERMO – “Via D’Amelio non fu solo strage di mafia, c’erano dubbi molto seri sulla credibilità di Vincenzo Scarantino”. Sono le rivelazioni del consigliere del Csm Nino Di Matteo deponendo al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio che vede alla sbarra tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. “Io non ho mai partecipato ad una riunione, a un incontro tra colleghi in cui si facesse riferimento sulle indagini, di cui sapevo solo dalle cronache dei giornali, fino al novembre 1994. Siamo a due anni e sei mesi dalla strage di via D’Amelio, quello che io considero l’inizio di un possibile depistaggio con il furto dell’agenda rossa”, ha precisato Di Matteo.
“Due anni e 4 mesi dopo l’arresto di Scarantino che come sapete è venuto dopo altre indagini, mi è stato detto di occuparmi anche delle stragi. In particolare di quella di via D’Amelio. Nel mio ricordo ad occuparsi delle indagini e della gestione di Vincenzo Scarantino – ha aggiunto – c’era sicuramente Mario Bo e due ispettori, molto bravi, Ricerca e Maniscalchi. Ribaudo e Mattei, nel mio ricordo avevano un ruolo marginale”.
Di Matteo ricorda di avere indagato a “fondo sulla presenza di Bruno Contrada in via D’Amelio dopo la strage”. “Fui io a riaprire le indagini su di lui sulla base delle dichiarazioni del pentito Elmo che ci aveva detto di averlo visto allontanarsi dal teatro dell’attentato con dei documenti in mano. A quel punto lessi tutto il vecchio fascicolo, acquisii le sue agende”.
Di Matteo parla anche delle indagini del pool di Caltanissetta: “Seppi delle note della Boccassini e delle sue osservazioni critiche sulla gestione del pentito Scarantino solo tra il 2008 e il 2010 – ha aggiunto l’ex pm di Palermo -. Con la collega Boccassini non ho mai avuto la possibilità e la fortuna di parlare non solo delle stragi ma di indagini in generale. Per me era ed è un un magistrato da stimare moltissimo, ma con la quale la conoscenza si limitava a incontri al bar.
All’epoca delle indagini sulle stragi i collaboratori di giustizia vedevano nell’ufficio del pubblico ministero il luogo a cui rivolgersi per risolvere problemi spesso logistici. In quel periodo mi è capitato che mi chiamassero Mutolo e Cancemi, ma nessuno si è mai sognato di dirmi cose inerenti alle dichiarazioni.
L’attività di preparazione dei collaboratori di giustizia significava solo dare indicazioni ad esempio sul contegno da tenere in aula, sull’evitare polemiche coi legali, questo era preparare ed era una prassi seguita da tutti”.

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