ROMA – Un rinvio “sine die”, vale a dire senza identificazione della data in cui tenere il referendum sul taglio dei parlamentari finora fissato per il 29 marzo: è la decisione del Consiglio dei ministri, che lascia intuire il tasso di incertezza che il coronavirus impone alle istituzioni e che mette in dubbio perfino le Regionali e le amministrative del 17 e 31 maggio, a cui finora si era pensato di abbinare il quesito. Plaudono al rinvio i promotori del referendum e i diversi Comitati per il no, che chiedono però di evitare l’accorpamento con le Regionali, su cui invece insiste M5s, con il capo politico Vito Crimi.
“Il Governo – ha spiegato il ministro per le Riforme Federico D’Incà dopo il Consiglio dei ministri – ha ritenuto opportuno rivedere la decisione circa la data del Referendum che era stata fissata prima dell’emergenza sanitaria, allo scopo di assicurare a tutti i soggetti politici una campagna elettorale efficace e ai cittadini un’informazione adeguata”.
Il motivo del rinvio recepisce quindi le richieste dei diversi Comitati per il No che avevano sottolineato l’assenza innanzi tutto di una informazione da parte di Tv e media sui contenuti del taglio dei seggi, e poi l’impossibilità di svolgere una campagna mentre il coronavirus impedisce dibattiti pubblici sul territorio. D’Incà ha pure ricordato che il governo ha tempo fino al 23 marzo per decidere una nuova data, che andrebbe collocata poi tra il 10 e il 31 maggio per rispettare la legge sui referendum.
Il punto è che, come ha sottolineato il premier Giuseppe Conte, il rinvio è “sine die”, cioè non si è voluto fissare un nuovo appuntamento, benché nei giorni scorsi si fosse ipotizzato di accorpare quel voto con quello delle regionali e delle amministrative di maggio (il 17 e i ballottaggi il 31); una decisione interpretata come la consapevolezza che un margine di alea incombe perfino su Regionali e amministrative. In ogni caso se la necessità di una campagna referendaria vera che faccia uscire dalle catacombe i contenuti della riforma unisce governo e Comitati per il no, ad allarmare questi ultimi è l’ipotesi di accorpamento con le regionali.
Tutti i Comitati, come fanno i tre senatori promotori del referendum, Tommaso Nannicini del Pd, Andrea Cangini e Nazario Pagano di Fi, dicono che ciò falserebbe il voto, lo “inquinerebbe” come ha detto Alfiero Grandi, perché il voto ai partiti alle amministrative trainerebbe il sì o il no al quesito indipendentemente al suo merito. M5s con Vito Crimi, ma anche con il viceministro dell’Interno Matteo Mauri (Pd) hanno ribadito invece questa ipotesi. Per M5s un’alta affluenza aumenta le chance della vittoria del sì. C’è poi un altro elemento politico sottolineato con rammarico da Roberto Calderoli: lo slittamento, a maggio o addirittura a settembre, chiuderebbe la finestra delle possibili elezioni anticipate, allungando la legislatura ai primi mesi del 2021, a ridosso del semestre bianco (giugno 2021) in cui è vietato sciogliere le Camere.