SIRACUSA – I carabinieri della Compagnia di Siracusa hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Catania, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia etnea, a carico di 24 indagati residenti tra Siracusa, Floridia e Solarino, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico e spaccio di stupefacenti del tipo cocaina, marijuana e hashish, associazione per delinquere finalizzata all’usura, tentata estorsione ed esercizio abusivo di attività finanziaria, tutte aggravate dal metodo mafioso.
Tutti i fermati sono collegati al clan Aparo, attivo nel territorio di Floridia e Solarino. Effettuate numerose perquisizioni con i cani antidroga e di ricerca armi ed esplosivi. All’attività, eseguita da cento militari del Comando provinciale di Siracusa, hanno partecipato un elicottero dell’Arma e militari della Compagnia di intervento operativo del 12mo Reggimento Carabinieri Sicilia di Palermo.
Le indagini, avviate a settembre 2017 e durate circa un anno, hanno consentito di disarticolare una banda riconducibile alla sfera di influenza del clan Aparo, storicamente dominante nei comuni dell’hinterland siracusano, come Floridia e Solarino, quest’ultimo comunemente denominato “San Paolo”.
Il sodalizio aveva al suo vertice Massimo Calafiore, il quale era stato investito della reggenza “pro tempore” del clan direttamente dal suo storico boss, Antonio Aparo, mediante l’invio di lettere spedite mentre questi si trovava chiuso nel carcere di Milano, una volta terminato il regime del 41 bis. Accanto a Massimo Calafiore, in qualità di suo luogotenente, era stato collocato Giuseppe Calafiore.
Ulteriori membri dell’associazione in posizione apicale e gestori dell’usura e del traffico di droga, erano Salvatore Giangravé e Angelo Vassallo, da poco scarcerati dopo un lungo periodo di detenzione. Inizialmente ostili alla reggenza dei Calafiore, i due erano stati successivamente convinti da ulteriori lettere trasmesse dal carcere da parte del boss Aparo.
Il braccio armato del clan, utilizzato per mantenere il regime di sopraffazione e omertà sul territorio a favore dell’associazione, era invece costituito da Mario Liotta, recentemente deceduto, e dal figlio Francesco, divenuti l’articolazione operativa del gruppo, con compiti di intimidazione violenta a commercianti e privati.
Il clan, così composto, aveva dato vita a un vero e proprio dominio sui centri di Floridia e Solarino. Molteplici erano i campi di influenza della banda, dall’usura (con tassi di interesse pari al 20% mensile) alla droga, dalle estorsioni agli attentati incendiari.
A coadiuvare i Calafiore nella gestione dell’usura vi erano le donne di casa: Antonia Valenti, madre di Giuseppe Calafiore, col compito di custodire la contabilità e il denaro, e la compagna, Clarissa Burgio, inizialmente vittima di usura da parte dei Calafiore, poi divenuta compagna di Giuseppe e quindi diventata il suo naturale sostituto quando il marito è finito in carcere per droga.
L’associazione non si occupava solo di usura. Florida era anche l’attività legata al traffico e spaccio di droga. Il gruppo aveva deciso di utilizzare parte dei proventi derivanti dall’usura per l’acquisto di grosse quantità di stupefacenti, principalmente cocaina, hashish e marijuana, fornite dai catanesi, Salvatore Mazzaglia e Victor Andrea Mangano, legati al clan etneo dei Santapaola-Ercolano, gruppo di Nicolosi e Mascalucia. L’introito stimato del giro di droga scoperto si aggira intorno ai 350.000 euro in soli quattro mesi.
Oltre all’usura e alla droga, l’associazione mafiosa si dedicava anche ad attentati incendiari per far sentire la forza di intimidazione del clan sul territorio, per punire coloro che non erano puntuali nei pagamenti o che avevano interrotto i rapporti interpersonali con il clan ovvero, a volte, anche semplicemente per dare fastidio alle forze dell’ordine quando queste ultime segnalavano qualcuno dei consociati per violazione degli obblighi cui erano sottoposti.
Emblematiche alcune motivazioni scatenanti di attentati incendiari: l’incendio dell’auto dei proprietari di un bar di Solarino, “colpevoli” di non aver praticato uno sconto su una torta acquistata dal boss Massimo Calafiore per il compleanno del figlio, addirittura facendogli pagare un lecca lecca che lo stesso, al ritiro del dolce, aveva acquistato alla figlia. Altro episodio è rappresentato dall’incendio di un pub di Floridia dopo che Giuseppe Calafiore aveva giudicato troppo caro un tagliere di formaggi e non aveva potuto ricevere le ostriche e champagne, da lui richieste, ma non disponibili.
Gli arrestati. Antonio Aparo, 62 anni, già ristretto nel carcere di Opera (Milano); Massimo Calafiore, 52 anni; Giuseppe Calafiore, 52 anni; Salvatore Giangravè, 57 anni, operatore ecologico; Angelo Vassallo, 57, operatore ecologico; Massimo Privitera, 47; Francesco Liotta, 31; Salvatore Mazzaglia, detto “Nino”, 63, già ristretto nel carcere di Catania Bicocca; Victor Andrea Junior Mangano, 29; Paolo Nastasi, 42; Antonio Amato, detto “cappellino”, 34, operaio; Maurizio Assenza, 56, autista; Sebastiano Carmelo Assenza, 26; Jacopo De Simone, 27; Angelo Aglieco, 19; Joseph Valenti, 28, operaio; Antonio Privitera, 24; Giuseppe Crispino, 42, già ristretto nel carcere di Terni.
Sono finiti agli arresti domiciliari: Antonia Valenti, 74, pensionata; Clarissa Burgio, 38, impiegata; Andrea Occhipinti, 31, operaio; Domenico Russo, 56, veterinario. Due persone destinatarie di misura cautelare sono al momento irreperibili.
I soldi dell’usura reinvestiti nella droga, stop a banda legata al clan Aparo: 24 arresti
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