PALERMO – La polizia ha eseguito il fermo di 14 stranieri accusati di far parte di un’associazione a delinquere transnazionale finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, all’esercizio di attività abusiva di prestazione di servizi di pagamento e altri delitti contro la persona, l’ordine pubblico, il patrimonio e la fede pubblica; reati aggravati dalla transnazionalità. Quattro indagati sono latitanti.
L’indagine ha portato alla scoperta di un’organizzazione criminale, con cellule operanti in Africa, in diverse aree del territorio nazionale e in altri paesi europei. L’associazione agiva su due fronti diversi: il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e l’esercizio abusivo di attività di intermediazione finanziaria tramite il cosiddetto metodo “hawala”, utilizzato principalmente per il pagamento dei viaggi dei migranti o come prezzo della loro liberazione dai centri lager in Libia.
Due eritrei ancora latitanti e tre africani che operavano tra Udine e Milano erano a capo dell’organizzazione criminale che gestiva i viaggi dei migranti tra Africa e Italia e i loro trasferimenti nel nord Europa e negli Usa. I due latitanti si muovevano tra l’Africa, i paesi del Golfo Persico e l’Europa ed erano i principali collettori dei flussi monetari che derivavano dal traffico di esseri umani.
A capo della cellula di Udine c’era Solomon Teklyes e ai vertici di quella milanese Mussie Ghirmay e Musie Andemickael. Tutti e tre sono stati fermati. Le attività investigative coordinate dalla Dda di Palermo, supportate anche da servizi di osservazione con pedinamento, perquisizione e sequestro (sia di documentazione che di denaro, circa 30.000 euro in contante), hanno permesso di individuare tra Milano, dove è presente una grande comunità di cittadini proveniente dai Paesi del Corno d’Africa, e il Nord Est la base operativa della banda.
Scoperta anche una complessa rete di intermediari finanziari operante sul territorio italiano. All’inchiesta hanno dato un contributo rilevante anche le rivelazioni di un collaboratore di giustizia. La polizia ha provato numerosi contatti tra gli indagati e gruppi di migranti appena giunti in Italia. I profughi venivano aiutati a raggiungere i Paesi europei, reale meta del loro viaggio.
Accertati anche rapporti tra i fermati e gli extracomunitari prigionieri delle “safe house” libiche, strutture in cui vengono tenuti sotto sequestro i migranti prima di partire verso le coste italiane. Dalle dichiarazioni dei profughi sono emerse le condizioni di vita nei centri libici e le violenze fisiche e psicologiche e le torture utilizzate dai trafficanti per ottenere dai parenti dei prigionieri il pagamento del denaro per la loro liberazione e per la prosecuzione del viaggio.
Sono stati raccolti indizi, sia dalle dichiarazioni sia dalle attività tecniche di intercettazione, a carico di numerosi trafficanti di esseri umani in Libia e Sudan e di alcuni gestori dei centri di prigionia che però non sono stati identificati nonostante le richieste di cooperazione dell’autorità giudiziaria.
Il gruppo criminale avrebbe gestito almeno 4 viaggi verso la Sicilia e decine di trasferimenti dei profughi nel nord Europa. Ad alcuni indagati viene contestata anche la violazione della normativa in materia di esercizio delle attività finanziaria: avrebbero offerto la possibilità, dietro incasso di commissioni, di effettuare e ricevere pagamenti e di trasferire fondi all’estero e in Italia in violazione delle norme del Testo Unico Bancario.
L’inchiesta costituisce la prosecuzione delle operazioni “Glauco I – II – III” condotte tra il 2013 e il 2017 che hanno consentito, nel tempo, di individuare e identificare decine di trafficanti di esseri umani operanti sulla rotta del Mediterraneo centrale, molti dei quali già condannati anche in via definitiva a pesanti pene, e i loro referenti in Italia.
Nel corso delle indagini precedenti è emerso il ruolo di vertice di Ghermay Ermias – ancora latitante – e proprio dallo sviluppo delle inchieste finalizzate alla sua ricerca, anche attraverso attività di cooperazione internazionale, è stata ricostruita l’associazione a delinquere che operava tra il Centro Africa (Eritrea, Etiopia, Sudan), i paesi del Maghreb (soprattutto la Libia), l’Italia (Lampedusa, Agrigento, Catania, Roma, Udine, Milano), vari paesi del Nord Europa (Inghilterra, Danimarca, Olanda, Belgio e Germania).
Fin dal 2017, la banda ha supportato le attività di traffico sia nel corso del viaggio dei migranti sul continente africano che in occasione del loro concentramento nei campi di prigionia in Libia.
Appena giungevano in Sicilia, a bordo delle navi impiegate in attività di soccorso in mare, gli indagati intervenivano, in un primo momento, consentendo ai profughi di allontanarsi dai centri di accoglienza in cui erano ospitati, nascondendoli in altri luoghi e fornendo loro in alcuni casi vitto, alloggio, titoli di viaggio e falsi documenti, e, in un secondo momento, curandone la partenza verso località del centro e nord Italia, da dove poter raggiungere il nord Europa e talvolta gli Usa.
In altre occasioni, i membri del gruppo hanno contattato direttamente i migranti già giunti in Italia per consentire loro la prosecuzione del viaggio verso altri Stati europei o in alcuni casi anche verso gli Stati Uniti (gestendo la pericolosa tratta del viaggio attraverso i paesi del Sud America).
Trafficanti di esseri umani: 14 fermi
Palermo. Scoperta un'associazione con cellule in Africa e ramificazioni in tutta Italia. Prigionieri torturati nei centri lager libici per ottenere i soldi per la liberazione e la prosecuzione del viaggio