MESSINA – I finanzieri del Comando Provinciale di Messina, al termine di complesse attività di polizia economico-finanziaria, hanno scoperto una maxi frode fiscale che ha permesso a un noto imprenditore cittadino di evadere complessivamente oltre 15 milioni di euro tra Iva, imposte sui redditi, sanzioni e interessi.
In questo contesto, su proposta della Procura della Repubblica di Messina, il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Messina ha disposto il sequestro di 6,5 milioni di euro.
In particolare, le articolate investigazioni, eseguite dagli specialisti del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Messina, hanno consentito acquisire significativi e convergenti elementi indiziari sull’importante frode fiscale perpetrata avvalendosi di ben 13 aziende, con sede di fatto a Messina e sedi legali solo formalmente dislocate sull’intero territorio nazionale, segnalando alla locale Procura della Repubblica i reali autori dell’illecito.
Un vorticoso giro di trasferimenti finanziari tra le plurime realtà societarie, costituenti un’importante gruppo imprenditoriale, di fatto riferibile a un noto imprenditore messinese di 52 anni e al fratello di 49 anni, anche tramite una “testa di legno”, operante nei più svariati settori commerciali: edile, delle pulizie, dei trasporti, alberghiero, della ristorazione e della grande distribuzione.
Più nel dettaglio, una puntuale e comparata analisi dei flussi bancari e della documentazione amministrativo-contabile della principale realtà societaria investigata, nonché delle altre società destinatarie delle provviste dirottate, ha consentito di leggere in maniera unitaria il complesso schema ideato per frodare le casse dell’Erario, in definitiva teso a sottrarsi al pagamento delle imposte.
Il sistema prevedeva il trasferimento di ingenti somme di denaro intercompany dai conti correnti della società debitrice dell’erario – peraltro, all’epoca, titolare di un appalto, per ben 13 milioni di euro circa, con un importante ospedale del Nord, per il servizio di pulizia e sanificazione – ai conti correnti delle altre realtà societarie del gruppo, così completamente svuotandone le relative casse e minandone la relativa solidità finanziaria.
Ma c’è di più: il ramo d’azienda inerente l’appalto milionario era oggetto di cessione a una neo costituita società, sempre riferibile allo stesso gruppo imprenditoriale, avente medesimo oggetto sociale, alla cifra irrisoria di 20.000 euro. Fatti sparire i soldi e un ramo d’azienda particolarmente redditizio, la procedura di riscossione coattiva per i debiti erariali iscritti a ruolo accumulatisi nel tempo risultava, quindi, definitivamente compromessa.
Le indagini hanno dunque consentito di ipotizzare come gli indagati abbiano distratto le somme che avrebbero dovuto essere utilizzate per adempiere agli obblighi tributari attraverso complessi giri di contabilità studiata ad arte, per prosciugare le casse di una società del gruppo.