PALERMO – Dopo anni di silenzio i commercianti del quartiere Borgo Vecchio si sono ribellati al racket e hanno denunciato gli estorsori mafiosi: 20 tra boss, gregari ed esattori del clan sono stati fermati dai carabinieri. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, ai furti e alla ricettazione, tentato omicidio aggravato, estorsioni e danneggiamenti.
Oltre venti le estorsioni accertate nel corso dell’indagine coordinata dalla Direzione distrettuale, tredici delle quali scoperte grazie alle denunce spontanee delle vittime. In cinque casi, invece, i commercianti hanno ammesso di pagare dopo essere stati convocati dagli inquirenti.
I NOMI DEGLI ARRESTATI. Ecco l’elenco dei fermati dell’operazione “Resilienza” : Angelo Monti, 54 anni, Jari Massimiliano Ingarao, 26 anni, Girolamo Monti, 45 anni, Giuseppe Gambino, 56 anni, Domenico Canfarotta, 42 anni, Pietro Cusimano, 58 anni, Danilo Ingarao, 25 anni, Gabriele Ingarao, 33 anni, Marcello D’India, 65 anni, Giovanni Zimmardi, 46 anni, Vincenzo Vullo, 46 anni, Alondi Paolo, 19 anni, Giacomo Marco Bologna, 29 anni, Antonino Fortunato, 20 anni, Filippo Leto, 48 anni, Matteo Lo Monaco, 30 anni, Giuseppe Lo Vetere, 21 anni, Ignazio Sirchia, 49 anni, Giovanni Bronzino, 66 anni, Salvatore Guarino 71 anni, nato a Forbach in Francia e residente a Palermo.
VECCHIO BOSS TORNA IN CARCERE. Tra gli arrestati figura il boss Angelo Monti, tornato a guidare il clan dopo essere stato scarcerato nel 2017. Una storia ordinaria nelle logiche mafiose, quella scoperta dai carabinieri di Palermo, che hanno fermato il reggente della famiglia del Borgo Vecchio. “È pure ti vuole conoscere una persona qua del Borgo che comanda il Borgo, un pezzo da novanta, non un pezzo di quaranta, un pezzo da novanta. Ti dico solo il nome: Angelo. Il cognome non te lo dico non è giusto”. Così, non sapendo di essere intercettati, due dei mafiosi finiti in cella insieme al boss, parlavano di Monti.
Monti fu arrestato già nel 2007 perché ritenuto al vertice della famiglia e dal 2017 era sorvegliato speciale. Scoperti anche i “colonnelli” del capomafia: il fratello, Girolamo Monti, anche lui arrestato nel 2007 e Giuseppe Gambino, già condannato per mafia, che secondo le indagini teneva la cassa della famiglia, e faceva da tramite tra i vertici e il gruppo operativo.
Gli esattori del pizzo erano Giovanni Zimmardi, Vincenzo Vullo e Filippo Leto. Dei traffici di droga si occupavano, invece, Jari Massimiliano Ingarao, nipote del boss, e i sue due fratelli. Nonostante fosse ai domiciliari, Ingarao organizzava e coordinava tutte le attività legate al commercio degli stupefacenti, riuscendo ad acquistare la droga principalmente in Campania e a rifornire le varie piazze di spaccio del quartiere. Ingarao si faceva aiutare dai fratelli Gabriele e Danilo che a loro volta avevano messo su una squadra di pusher.
Oltre a definire le linee guida del narcotraffico a Palermo, il clan controllava direttamente i dettagli organizzativi, la contabilizzazione dei ricavi, gli investimenti del denaro sporco e la gestione dei soldi confluiti nella cassa della famiglia mafiosa. Dall’inchiesta è emerso che la cosca interveniva, in alcuni casi, anche nella gestione dei furti di moto e della loro successiva restituzione ai proprietari, attraverso il cosiddetto metodo del “cavallo di ritorno”, una sorta di richiesta di riscatto per avere indietro il mezzo rubato.
NEOMELODICI RECLUTATI DAI BOSS. Secondo gli investigatori, la mafia continuava a controllare anche l’organizzazione delle celebrazioni religiose in alcuni quartieri. I militari hanno scoperto che per la festa della patrona del Borgo Vecchio, Madre Sant’Anna, Cosa nostra aveva il monopolio dell’organizzazione delle serate musicali animate dalle esibizioni di alcuni cantanti neomelodici.
I mafiosi sceglievano e ingaggiavano i musicisti e, attraverso “riffe” settimanali, raccoglievano tra i commercianti le somme di denaro necessarie per lo spettacolo. Il denaro che restava finiva nella cassa della famiglia mafiosa ed era usato per il mantenimento in carcere dei mafiosi detenuti e per investimenti illegali. Oltre alla scelta dei cantanti e al loro ingaggio il clan curava le sponsorizzazioni dei commercianti e autorizzava gli ambulanti a vendere la merce durante la festa, regolandone anche la posizione nelle strade del rione.
IL TATUAGGIO DI FALCONE. Era solito aprire i suoi concerti dedicandoli “a chi purtroppo sta al 41-bis”, parole che, nel tempo, gli sono costate roventi polemiche. Il suo affetto verso i boss lo aveva ripetuto anche durante un’intervista tv nel 2019 e oggi il suo nome spunta nell’indagine dei carabinieri che ha portato al fermo di 20 tra capimafia e gregari della cosca palermitana del Borgo Vecchio. Niko Pandetta, celebre neomelodico palermitano, era amico del boss Jari Ingarao, che incontrava nonostante fosse ai domiciliari.
Ingarao, oggi finito in cella, aveva incaricato alcuni uomini d’onore di invitare i commercianti del rione a sponsorizzarne un concerto. Parte dei ricavi dovevano andare nelle casse del clan. Ma l’esibizione non si tenne perché dopo le parole dette in tv al cantante fu vietato di esibirsi. “Gli ho detto io a lui: fatti un tatuaggio e ti scrivi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e si risolvono i problemi”, consigliava a Pandetta uno dei mafiosi intercettati. Una ricetta che gli avrebbe consentito di superare le difficoltà legate alle sue discusse esternazioni sulla mafia.
CLAN CONTROLLAVANO GLI ULTRAS DEL PALERMO. Cosa nostra avrebbe anche tentato di evitare gli scontri tra gruppi di ultras del Palermo. “Le indagini – rilevano gli investigatori – hanno delineato un significativo quadro di rapporti fra le tifoserie calcistiche palermitane e Cosa nostra”. “Non è emerso, però, – precisano – alcun coinvolgimento della società che gestisce la squadra”.
I vertici della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio volevano controllare i contrasti fra gruppi ultras per evitare scontri all’interno dello stadio, da un lato dannosi per lo svolgimento delle gare e dall’altro fonte di possibili difficoltà per uno storico capo ultrà rosanero, elemento di contatto tra la cosca e il mondo del tifo organizzato.
CONDANNA A MORTE PER CENA PAGATA CON SOLDI FALSI. L’indagine ha svelato pure gli autori di un tentato omicidio. Sono Marcello D’India e Giovanni Bronzino che, il 12 dicembre del 2018, con un coltello, cercarono di uccidere Giovanni Zimmardi, anche lui incaricato dal clan Borgo Vecchio di riscuotere il pizzo. Dietro l’aggressione ci sarebbe stata l’ira dei due mafiosi verso Zimmardi che aveva pagato una cena in una trattoria del quartiere con soldi falsi. Dall’inchiesta emerge il capillare controllo del territorio da parte dell’organizzazione mafiosa che continua a rivendicare una sorta di funzione sociale attraverso l’imposizione delle proprie decisioni per la risoluzione delle controversie più disparate: dai litigi familiari per motivi sentimentali, alle occupazioni abusive di case popolari, agli sfratti per affitti non pagati.
COL. GUARINO: “GRAZIE AI COMMERCIANTI”. Il comandante provinciale dei carabinieri di Palermo, Arturo Guarino, ringrazia in prima persona i commercianti, veri protagonisti di questa operazione. “Noi carabinieri di Palermo vorremmo ringraziare quegli imprenditori che si sono fidati di noi. Molti sono venuti spontaneamente a denunciare. Ci hanno messo la faccia e noi li abbiamo tutelati. E’ questo il messaggio che vogliamo dare alla città e a questa collettività. Si deve dire basta al pizzo. Noi siamo a fianco di chi denuncia”.