Luca Ciliberti) Sicilia arancione, Isola a rischio alto di contagio da Covid-19. Ci sono due date importanti dalle quali partire per comprendere le scelte del governo Conte: il 30 aprile e il 25 ottobre (o meglio la settimana dal 19 al 25 ottobre).
Alla fine di aprile, in pieno lockdown romantico, quando si cantava dai balconi e i forni profumavano di pizza e torte fatte in casa, il ministro per la Salute Roberto Speranza firmava il decreto ministeriale denominato “Emergenza COVID-19: attività di monitoraggio del rischio sanitario connesse al passaggio dalla fase 1 alla fase 2A di cui all’allegato 10 del DPCM 26/4/2020”.
Nel documento i tecnici del ministero ipotizzavano già che “in assenza di un vaccino o di un trattamento farmacologico efficace, e a causa del livello di immunità della popolazione ancora basso, può verificarsi una rapida ripresa di trasmissione sostenuta nella comunità” presupponendo “l’implementazione e il rafforzamento di un solido sistema di accertamento diagnostico, monitoraggio e sorveglianza della circolazione di SARS-CoV-2, dei casi confermati e dei loro contatti al fine di intercettare tempestivamente eventuali focolai di trasmissione del virus, del progressivo impatto sui servizi sanitari”. Il famoso tracciamento messo in atto per tutta l’estate quando i casi c’erano, ma erano ancora contenuti.
Ma non solo, il documento andava oltre e faceva espresso riferimento “al grado di preparedness e tenuta del sistema sanitario, per assicurare l’identificazione e gestione dei contatti, il monitoraggio dei quarantenati, una adeguata e tempestiva esecuzione dei tamponi per l’accertamento diagnostico dei casi, il raccordo tra assistenza primaria e quella in regime di ricovero, nonché la costante e tempestiva alimentazione dei flussi informativi necessari, da realizzarsi attraverso l’inserimento dei dati nei sistemi informativi routinari o realizzati ad hoc per l’emergenza in corso”.
Insomma, il governo non aveva abbassato la guardia e demandava all’Istituto superiore di Sanità e alle Regioni il monitoraggio costante della pandemia in corso, indicando anche alcuni indicatori di allerta da tenere sotto controllo “in modo da poter valutare la necessità di modulazioni nelle attività di risposta all’epidemia”. I famosi 21 parametri. “Il monitoraggio comprenderà i seguenti indicatori: – indicatori di processo sulla capacità di monitoraggio (Tabella 1 inserita nel Dm); – indicatori di processo sulla capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione dei contatti (Tabella 2 inserita nel Dm); indicatori di risultato relativi a stabilità di trasmissione e alla tenuta dei servizi sanitari (Tabella 3 inserita nel Dm)” si leggeva nel decreto.
E per preparare il sistema Paese il ministro aveva anche previsto una dotazione di risorse umane “1 professionista ogni 10.000 abitanti con un’appropriata formazione per garantire, da parte dei Dipartimenti di Prevenzione e dei Distretti Sanitari, il mantenimento dei livelli di erogazione dei rimanenti ordinari servizi (ad es. screening, vaccinazioni)”.
Sulla base degli indicatori indicati a fine aprile, il ministero segnala che “nel periodo 08 – 21 ottobre 2020, l’Rt calcolato sui casi sintomatici è pari a 1,70 (95%CI: 1,49 – 1,85). Si riscontrano valori di Rt superiori a 1,25 nella maggior parte delle Regioni/PA italiane con valori superiori a 1,5 in diverse Regioni/PA”. Il 25 ottobre arriva il Dpcm Conte.
La scelta di queste ore del governo nazionale di posizionare la Sicilia in zona arancione sembrerebbe tenere conto di tutti i parametri richiesti dal ministero secondo gli algoritmi allegati al decreto di aprile (che vi mostriamo). Al di là delle polemiche politiche che stanno accompagnando queste scelte adesso dovrà essere la Regione a ribattere punto su punto.