ROMA – La prima assoluzione è di 5 anni fa. Dopo una breve camera di consiglio, il gup di Palermo decise che Calogero Mannino, ex ministro dc, con la trattativa Stato-mafia non c’entrava nulla. Un verdetto arrivato a due anni dall’inizio del processo che, a dispetto del nome del rito scelto dall’imputato, di abbreviato non aveva avuto nulla. Oggi la pronuncia della Cassazione che ribadisce l’estraneità alle accuse del politico siciliano.
Finisce così, col suggello della Suprema Corte, l’odissea giudiziaria di Calogero Mannino, già processato e assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, tornato in aula per rispondere di minaccia a Corpo politico dello Stato, “motore”, secondo i pm, del perverso accordo tra pezzi delle istituzioni e mafiosi che il potente politico siciliano aveva siglato per salvarsi la vita.
Nella ricostruzione dell’accusa, la mafia lo voleva morto perché non aveva rispettato i patti stretti con i padrini. Per sopravvivere, sfruttando i suoi rapporti coi carabinieri del Ros, Mannino avrebbe gettato le basi per un dialogo con la mafia. “La Corte di Cassazione, confermando il giudizio della Corte d’Appello di Palermo, ha posto termine alle esercitazioni di fantasia che l’ossessione persecutoria di alcuni pm ha messo su carta sin dal 1991 in diversi processi nei quali sono stato sempre assolto”, ha commentato l’ex ministro.
Di persecuzione giudiziaria Mannino, negli anni, ha sempre parlato. Fin da quando, dopo la sentenza assolutoria del gup, la Procura non si arrese e fece appello. Dopo 4 anni arrivò la nuova assoluzione che pose una pesante ipoteca su tutta l’impalcatura messa su dai pm e su quella trattativa che lo Stato avrebbe intrapreso per far cessare le stragi. La corte d’appello smontò l’accusa pezzo per pezzo, dando una interpretazione totalmente diversa da quella dei pm di una serie di fatti che la Procura aveva ritenuto cruciali.
I carabinieri del Ros non avevano trattato per conto di istituzioni colluse ma avevano seguito una strategia investigativa loro, tentando attraverso l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino di arrivare a catturare i boss. Le concessioni carcerarie non erano benefici dispensati ai padrini in cambio della fine delle stragi, ma scelte politiche.
Giudizi netti, mentre i coimputati di Mannino, carabinieri del Ros, l’ex senatore Marcello Dell’Utri, capimafia del calibro di Leoluca Bagarella che, al contrario dell’ex ministro, avevano scelto il processo ordinario, venivano condannati a pene pesantissime dalla corte d’assise. Il processo principale, ormai iniziato 7 anni fa, pende in appello, appesantito da decine di migliaia di nuove pagine di istruttoria e ancora ben lontano dalla conclusione. Ora la sentenza definitiva emessa nei confronti di Mannino che un peso su quel dibattimento dovrà averlo.
“In questo momento, – ha detto Mannino – che non può che essere di grande serenità, il mio pensiero di gratitudine va alla memoria del professore Carlo Federico Grosso (legale di Mannino nel frattempo deceduto, ndr) e il mio sentimento carico di affetto va a Grazia Volo e al suo collaboratore Cristiano Bianchini (entrambi avvocati difensori di Mannino, ndr) che sono stati i miei angeli in questa lunga via crucis e lo sono stati anche per la mia famiglia, per mia moglie, mio figlio e adesso per i miei nipoti che potranno andare a testa alta per la vita politica del nonno”.