Il gip di Termini Imerese non ha convalidato il fermo di Pietro Morreale, in carcere con l’accusa di avere ucciso la fidanzata Roberta Siragusa, 17 anni, e averne bruciato il cadavere.
Secondo il magistrato non ci sarebbe pericolo di fuga: da qui la decisione di non convalidare il provvedimento della Procura. Morreale, però, resta in cella in quanto il giudice, accogliendo l’istanza dei Pm, ha imposto al ragazzo la misura della custodia cautelare in carcere. Il ragazzo non ha risposto al giudice durante l’udienza e, secondo quanto si apprende, sarebbe scoppiato in lacrime.
“Gravissimo quadro cautelare, rischio di inquinamento probatorio, estrema gravità della condotta, determinazione criminale, possibilità che reiteri il reato”, ha scritto il gip disponendo che Pietro Morreale debba restare in cella.
Le chiavi di Roberta Siragusa sono state trovate dai carabinieri vicino al campo sportivo di Caccamo. Il particolare, che confermerebbe che la ragazza è stata uccisa vicino al campo sportivo e poi portata in fondo al dirupo in cui è stata trovata, viene riportato nell’ordinanza con cui il gip ha disposto il carcere Pietro Morreale.
“Vicino al campo sportivo – scrive il gip – sono stati repertati una serie di oggetti e di tracce estremamente significativi. Tra essi, in un cumulo di oggetti dati alle fiamme e non del tutto arsi, è stato rinvenuto anche un mazzo di chiavi”. “Una foto del mazzo di chiavi parzialmente bruciato ma integro – conclude – è stata mostrata ai familiari di Roberta che hanno prima descritto le chiavi di casa in possesso della ragazza la sera della morte e ne hanno riconosciuto la corrispondenza con quelle in uso alla ragazza”.
“Le immagini lasciano sgomenti. Il corpo di Roberta nella parte inferiore è pressoché integro ma devastato in quella superiore. Nel cranio c’è una vistosa ferita che si coglie perfettamente nelle immagini”, scrive ancora il gip.
La Procura di Termini Imerese ha anche depositato agli atti dell’udienza la testimonianza del fratello della vittima. Il ragazzo ha raccontato che nel garage della loro abitazione era custodita la Vespa guasta della sorella. Il particolare conferma in parte quanto ha riferito l’indagato che ha sostenuto di avere avuto in auto la bottiglia con la benzina, impiegata per bruciare il corpo, perché doveva utilizzarla per la Vespa di Roberta.
Il fratello di Roberta ha descritto Morreale come un “soggetto aggressivo, che faceva uso di sostanze stupefacenti” raccontando anche ai magistrati “che l’occhio nero della sorella era scaturito da una lite per una canna che lei aveva buttato dal finestrino”. “Litigavano spesso – ha detto – ma facevano sempre la pace, in una occasione mentre erano a cena al ristorante, nel gennaio 2020, si erano addirittura picchiati”.
La relazione si era incrinata nell’ultimo periodo e la causa dei litigi era sempre la gelosia. Il fratello di Roberta ha ricordato che, due o tre settimane prima, Pietro lo aveva chiamato dicendo che era rimasto in panne con l’auto a Monte Rotondo e lui era andato a recuperarlo: la strada era quella dove è stato ritrovato il corpo della sorella.
Il legale di Morreale, l’avvocato Giuseppe Di Cesare, aveva chiesto gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico ritenendo che il suo l’assistito non potesse né fuggire né inquinare le prove vista la massiccia presenza di forze di polizia presenti in paese.
Pietro, nella versione riferita ai carabinieri, ha detto che Roberta, dopo una lite avuta in auto sabato notte, si è data fuoco col carburante tenuto in macchina e si è buttata nel dirupo. Storia ritenuta non credibile dai pm che sono convinti che il ragazzo abbia strangolato la fidanzata, abbia bruciato il corpo in un campetto sportivo a Caccamo, dove sono state trovate tracce di combustione, e poi abbia buttato il cadavere nel burrone.