Totò Antibo ricoverato in terapia intensiva

L'ex campione del mezzofondo in ospedale a Palermo per un'embolia polmonare

PALERMO – Totò Antibo sta disputando la sua gara più dura. Ricoverato a Palermo, l’ex campione del mezzofondo italiano, è in condizioni critiche a causa di un’embolia polmonare. Siciliano di Altofonte, 59 anni appena compiuti, Antibo è uno dei miti dell’atletica azzurra. Ha vinto tanto e ha regalato all’Italia molte soddisfazioni, ma ha anche sofferto tanto.
La sua vita ha avuto un primo e un secondo tempo, assai diversi l’uno dall’altro. Nel primo, la vita ha regalato gioie e successi a questo ragazzo siciliano, un piccoletto (1,70 di altezza) magrolino e con lunghe leve al posto delle gambe; tante vittorie, culminate non solo nell’argento olimpico 1988, e nella doppietta clamorosa agli Europei di Spalato 1990, quando vinse 5 e 10 mila metri, ma anche negli altrettanto clamorosi tre anni da imbattuto nei 10 mila fra 1989 e il 1991, e il secondo tempo mondiale di sempre sulla stessa distanza.
La seconda vita di Antibo ha i contorni tristi e dolorosi, ed è contrassegnata dalla malattia. Comincia nel 1991, ai Mondiali di Tokyo. Antibo è il favorito, ma qualcosa in gara non funziona, Lui parte bene, poi rallenta sempre più, finisce addirittura ultimo, a causa di quello che si rivelerà un attacco di epilessia. Cominciano i controlli medici e le prime cure, nella speranza di un disturbo passeggero. Totò ci crede e riprende a correre, alle Olimpiadi del 1992 è quarto nei 10 mila.
Ma è l’ultimo sorriso per il corridore azzurro. Nel 1993 ai Mondiali di Stoccolma Antibo viene doppiato, capisce che è finita. La malattia si aggrava, comincia il calvario di ospedali e cure, crisi sempre più intense, una media di due al giorno. Non può più correre, ma nemmeno lavorare, nemmeno uscire di casa. Consuma tutti i risparmi, finisce povero, si ritrova solo, lo aiuta la pensione degli sportivi. E la speranza di una cura risolutiva, che non lo abbandona mai.
A fine anno Antibo in una clamorosa intervista grida la sua amarezza per l’operazione che non arriva mai, “non si muore solo di Covid” disse, sentendosi emarginato e abbandonato. Ai primi di febbraio finalmente l’operazione, a Catanzaro: “Operarmi è stata la mia gara più bella, finalmente potrò uscire di casa”. Ora una nuova crisi, l’embolia e il ricovero in condizioni critiche.

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