Il magistrato catanese Sebastiano Ardita, componente togato del Csm e con una lunga carriera contro la criminalità organizzata, in particolare contro la sanguinaria cosca di Cosa nostra catanese comandata dal boss Nitto Santapaola e i cosiddetti “colletti bianchi”, è stato ospite della prima puntata di Terzo Piano su Telecolor con Antonino Ingroia e Salvatore Borsellino.
Ardita ha spiegato il senso della legge sui collaboratori di giustizia voluta dal giudice Falcone, partendo proprio dal caso della scarcerazione di Giovanni Brusca ma, sollecitato dalle domande dei giornalisti Guglielmo Troina e Felice Cavallaro, ha parlato della magistratura italiana in crisi di credibilità nei confronti dei cittadini.
“Occorre modificare le cose che stanno al vertice della magistratura: i cittadini hanno bisogno di avere persone che svolgono una funzione giudiziaria serena, indipendente e autonoma – spiega Ardita – centro non hanno bisogno di un potere che si sovrappone a queste 8.000 persone e che centralizzi tutto, invadendo altri poteri”.
La soluzione per Ardita è sotto gli occhi di tutti: “Il sistema delle correnti meriterebbe un reset almeno per una volta con un ipotesi di sorteggio temperato e lavorare ancora sull’indipendenza dei singoli magistrati – continua – perché nel conflitto tra le correnti e i cittadini non ci guadagna nessuno. La gente deve potersi fidare dei tribunali, certamente non serve un’élite che dall’alto centralizzi tutto”.
“I pm e i capi delle procure con un potere enorme? E’ tutto collegato. Se i controllori non hanno credibilità, i controllati la perdono a loro volta e anzi si indeboloscono e hanno una dimensione di impatto con i cittadini che non è quello che la gente vorrebbe, il problema è sempre la testa” conclude.