PALERMO – Imprevedibile l’esito, incerti i tempi della camera di consiglio anche se domani si potrà avere un’idea più precisa della data della sentenza. Per sapere come finirà bisognerà ovviamente attendere che la corte si presenti nell’aula del carcere Pagliarelli di Palermo per leggere il dispositivo e aggiungere l’ennesimo tassello giudiziario a una vicenda lunga oltre 10 anni.
Una storia infinita che ruota attorno al presunto patto che, secondo l’accusa, pezzi dello Stato avrebbero stretto con Cosa nostra per far cessare le stragi. “Trattativa” è stata chiamata, un termine semplicistico dietro al quale si celerebbero trame oscure che avrebbero finito per rafforzare la mafia, causare altro sangue e mostrare ai boss che la partita contro lo Stato se l’erano aggiudicata loro.
Siamo in appello. Il processo ha preso il via il 29 aprile del 2019. E’ stata riaperta l’istruttoria dibattimentale, sono state assunte decine di nuove testimonianze e acquisite migliaia di pagine di atti. Sui giudici pesa come un macigno la pesantissima sentenza con cui in primo grado la corte d’assise, dando totalmente ragione all’accusa, ha condannato a pene durissime gli ex ufficiali del Ros dei carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, boss come Leoluca Bagarella e Antonino Cinà, il pentito Giovanni Brusca e l’ex senatore Marcello Dell’Utri, tutti imputati di concorso in minaccia a Corpo politico dello Stato.
Condannato anche Massimo Ciancimino, superteste e protagonista della trattativa, figlio dell’ex sindaco mafioso don Vito, uscito poi dal dibattimento per la prescrizione delle accuse di calunnia e concorso in associazione mafiosa. Anche per Brusca venne dichiarata la prescrizione, ma l’impugnazione del verdetto lo ha costretto ancora sul banco degli imputati.
Sotto processo, ma per il reato di falsa testimonianza, era finito anche l’ex ministro dell’interno Nicola Mancino, che è stato assolto. La Procura non ha impugnato: quindi l’assoluzione è diventata definitiva. Una sentenza pesante con cui fare i conti, dunque. Ma in contraddizione netta con un altro verdetto sulla cosiddetta trattativa, ormai passato in giudicato.
Processato separatamente, sempre assolto, è uscito completamente scagionato un altro protagonista del presunto patto Stato-mafia: Calogero Mannino, ex ministro Dc, per l’accusa tra i registi del patto scelerato. Nell’assolverlo i giudici, con un provvedimento che ha il suggello della Cassazione, negarono l’esistenza della trattativa affermata con forza dalla corte d’assise. Due sentenze opposte, dunque, per una sola verità processuale.
“Uomini delle istituzioni, apparati istituzionali deviati dello Stato, hanno intavolato una illecita interlocuzione con esponenti di vertice di Cosa nostra per interrompere la strategia stragista. La celebrazione del giudizio ha ulteriormente comprovato l’esistenza di una verità inconfessabile, di una verità che è dentro lo Stato, della trattativa Stato-mafia”, ha detto la Procura generale durante la requisitoria del processo d’appello, sollecitando la conferma delle condanne inflitte in primo grado. Secondo l’accusa, il dialogo che gli ufficiali del Ros, grazie alle coperture istituzionali e tramite i Ciancimino, avviarono con Cosa nostra durante gli anni delle stragi, avrebbe rafforzato i clan spingendoli a ulteriori azioni violente contro lo Stato.
Sul piatto della trattativa, in cambio della cessazione degli attentati, sarebbero state messe concessioni carcerarie ai mafiosi detenuti al 41 bis e un alleggerimento nell’azione di contrasto alla mafia. Il ruolo di Mori e i suoi, dopo il ’93, sarebbe stato assunto da Dell’Utri che avrebbe fatto da “cinghia di trasmissione”, scrissero i giudici di primo grado, facendosi tramite della minaccia mafiosa presso il governo guidato dall’allora premier Silvio Berlusconi. “Congetture e deduzioni prive di riscontri”, secondo i legali degli imputati. Su tutto questo ora dovrà pronunciarsi la corte.