Confermate dalla Cassazione le quattro condanne del processo Borsellino quater, con il carcere a vita per due capomafia, Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, e 10 anni di reclusione per Calogero Pulci e 9 anni e 6 mesi per Francesco Andriotta, tutti e due accusati di calunnia, l’ultimo ha ottenuto 4 mesi di ‘sconto’ rispetto alla condanna di appello per due piccole prescrizioni e l’ assoluzione da una delle tante bugie raccontate.
ll depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio – una ferita ancora aperta e con tante zone d’ombra a quasi 30 anni dall’esplosione dell’autobomba che il 19 luglio 1992 a Palermo falciò la vita del giudice Paolo Borsellino e dei cinque agenti di scorta -, con le falsità dichiarate dai finti pentiti, “è una mostruosa costruzione calunniatrice che secondo me è una delle pagine più vergognose e tragiche” della nostra storia giudiziaria ed è “di una gravità tale da escludere qualunque circostanza attenuante” in favore degli imputati.
Così il Pg della Cassazione, l’avvocato generale Pietro Gaeta, in un passaggio della sua requisitoria all’udienza svoltasi nell’aula magna della Suprema Corte aveva detto no a qualunque tipo di sconto di pena per i quattro imputati. Il verdetto definitivo ha rispettato le sue indicazioni, ad eccezione del minimo riconteggio di pena per Andriotta. Gaeta – uomo di punta della Procura guidata da Giovanni Salvi, che ha condotto l’azione disciplinare del caso Palamara, l’affaire più delicato degli ultimi tempi – aveva chiesto ai giudici della Quinta sezione penale, presieduti da Stefano Palla, di confermare le condanne.
“Andriotta è la miccia di tutto, l’inizio di un mostruoso disegno calunniatore”, ha detto Gaeta che ha trovato pienamente condivisibili le motivazioni della sentenza della Corte di assise di Appello di Caltanissetta del 15 novembre 2019. Rimane sullo sfondo, come ha ricordato il consigliere relatore Angelo Caputo, la mancata identificazione degli “inquirenti infedeli”, gli uomini dello Stato responsabili “dell’ indottrinamento” dell’ex pentito Vincenzo Scarantino uscito dal processo con la prescrizione in secondo grado a seguito dell’attenuante di aver raccontato falsità indotto da “suggeritori” esterni.
La sua difesa non ha fatto ricorso in Cassazione, dopo aver perso in appello la battaglia per ottenere il proscioglimento pieno. Presente in aula l’Avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi che ha rappresentato le istituzioni che si sono costituite nel Borsellino quater: tra le quali la Presidenza del Consiglio, i ministeri degli Interni e della Giustizia, Regione siciliana e Comune di Palermo, oltre ai familiari delle vittime.
Per i depistaggi nelle indagini, costellate da fatti gravissimi come la scomparsa delle agende di Borsellino, vennero condannate all’ergastolo sette persone, poi prosciolte nel processo di revisione. Nella strage morirono insieme al magistrato i suoi cinque ‘angeli custodi’: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina. Si salvò l’agente Antonio Vullo , unico superstite, che era da solo su una ‘volante’.