Che fosse improbabile, dopo 29 anni di latitanza, trovarlo a casa di uno dei suoi storici favoreggiatori gli investigatori lo sapevano. Perquisendo a tappeto chi, per anni, lo ha aiutato a nascondersi, si sperava di trovare però una traccia utile, un segno che potesse portare al ricercato numero uno: Matteo Messina Denaro, l’ultimo padrino stragista di Cosa nostra rimasto libero. E invece dalle ricerche che hanno impegnato oltre 150 poliziotti, scattate nel territorio da sempre “amico” del capomafia, non sarebbe emerso nulla di importante. Il decreto che ha disposto la maxiperquisizione, disposta all’alba di oggi, porta la firma di Paolo Guido, il procuratore aggiunto della Dda di Palermo che da anni dà la caccia a Messina Denaro.
Gli agenti delle Squadre Mobili di Trapani, Palermo, Agrigento e dal Servizio Centrale Operativo si sono presentati a casa di 20 persone ritenute vicine al boss. Una operazione in grande stile condotta con apparecchiature speciali e il supporto dei Reparti Prevenzione Crimine di Sicilia e Calabria e degli elicotteri del Reparto Volo di Palermo. Un imponente spiegamento di forze nella roccaforte del boss che da sempre può contare su una fitta rete di connivenze sulle quali gli inquirenti continuano da anni a indagare.
L’operazione ha interessato Castelvetrano, Campobello di Mazara, Santa Ninfa, Partanna, Mazara del Vallo, Santa Margherita Belice e Roccamena. La Valle del Belice – tra le province di Trapani ed Agrigento -, come hanno dimostrato le operazioni di polizia condotte negli ultimi anni, è la zona dei clan più fedeli a Messina Denaro. Lì sono stati monitorati i passaggi di corrispondenza attribuita al padrino – gli ultimi pizzini a sua firma ritrovati sono del 2013 – e trasmessa da esponenti di spicco di Cosa Nostra del trapanese, appartenenti agli storici mandamenti mafiosi di Castelvetrano e Mazara del Vallo e dalle famiglie agrigentine. In quest’area il capomafia avrebbe avuto ospitalità e avrebbe potuto contare su una rete di supporto. Le persone perquisite sono “vecchie conoscenze” degli investigatori proprio per i loro rapporti con il latitante: tra i 20 destinatari dei decreti di perquisizione ci sono anche soggetti già condannati per associazione a delinquere di tipo mafiosa e l’ex consigliere comunale di Castelvetrano, paese natale del capomafia, Calogero Giambalvo.
“I capi nella loro latitanza possono allontanarsi dai luoghi di origine ma certamente devono tornare”: commenta il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho. Emergono intanto nuovi particolari sulle immagini trasmesse ieri dal Tg2 che ha mandato in onda un video del 2009 in cui figura un uomo somigliante al super ricercato. Secondo quanto si apprende una fonte indicò agli investigatori la possibilità che il boss avesse avuto un incontro con altri mafiosi nella zona del Belice. La segnalazione indusse gli inquirenti a visionare le immagini passate di tutte le telecamere piazzate in zona per la ricerca del latitante. Tra i video analizzati c’era anche quello di un Suv con a bordo una persona che poteva sembrare somigliante al padrino di Castelvetrano. La pista, però, venne scandagliata approfonditamente dagli investigatori ma nessuna conferma fu trovata alla segnalazione. Inoltre sembrò assai improbabile dal principio, a chi indagava, che uno dei maggiori ricercati al mondo circolasse in auto in pieno giorno davanti alla masseria di Pietro Campo, boss di Santa Margherita Belice, strettamente controllato proprio per la sua vicinanza a Messina Denaro.