PALERMO – Il racket del pizzo non risparmiava neppure la festa religiosa del paese. E gli ambulanti che allestivano le bancarelle nei giorni delle “Anime Sante”, ricorrenza molto sentita in paese, erano costretti a versare nelle casse della cosca di San Giuseppe Jato, il paese della famiglia Brusca nel Palermitano, la “tassa” di 50 euro per il mantenimento delle famiglie dei mafiosi detenuti. Stessa somma veniva chiesta ai giostrai. Nel territorio del mandamento mafioso nessuno sfuggiva all’imposizione del racket: lo documenta l’indagine del Nucleo Investigativo dei carabinieri di Monreale che oggi ha portato all’emissione di 10 misure cautelari per i componenti del clan del paese noto per aver dato i natali al boss Giovanni Brusca, poi passato tra i ranghi dei collaboratori di giustizia. A pagare erano tutti: oltre ai centri scommesse anche le imprese edili e i commercianti.
I carabinieri più volte hanno ripreso e documentato i passaggi di soldi tra il gestore del centro Pianeta Scommesse e alcuni esattori che si presentavo per riscuotere le somme. Attività che la cosca realizzava per cercare di superare la crisi economica che anche in Cosa nostra ha i suoi effetti. Nel 2018 Giusto Arnone e Calogero Bommarito, arrestati nel blitz di oggi, proprio per far fronte ai problemi di liquidità hanno deciso di impegnare risorse nello spaccio di droga. I due, intercettati, progettavano la realizzazione di qualche serra indoor. “Stavo guardando un po’… di erba in paese la dobbiamo fare in qualche casa di campagna?… ho lampade e tutte cose io… dobbiamo puzzare ancora dalla fame?”. Le successive intercettazioni avrebbero fatto emergere che i due avevano acquistato tre chili di hashish nella piazza di Palermo, tramite Arnone, da smerciare a San Giuseppe Jato. Le indagini sono iniziate all’indomani degli arresti di Ignazio Bruno, capo del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato e del suo autista e consigliere Vincenzo Simonetti.
I due uomini d’onore, mentre si trovavano in carcere, avrebbero mantenuto contatti con gli altri indagati, oggi destinatari del provvedimento cautelare, che avrebbero retto le fila della famiglia mafiosa in loro assenza. In particolare, i due avrebbero sarebbero stati in contatto con Calogero Alamia (nipote di Antonino Alamia, ai vertici della famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato e già individuato come il ‘cassiere’ del clan, attualmente detenuto), e Maurizio Licari. Dall’inchiesta è emerso infine che l’ex capo dei vigili del paese passava informazioni alla cosca per evitare al boss multe per lo smaltimento illecito di rifiuti: a suo carico è stata emessa la misura della sospensione dal servizio.