CATANIA – Nel periodo che va dal 13 dicembre 2020 al 31 marzo 2021 l’Etna ha eruttato circa 60 milioni di metri cubi di magma soprattutto attraverso fontane di lava particolarmente energetiche. Considerando il volume del materiale vulcanico accumulato nel tempo e quello eruttato nei quattro mesi, si evince che le fontane di lava possono rappresentare un’efficace modalità di emissione di magma in grado di sostituirsi alle più pericolose e tradizionali eruzioni effusive sul fianco del vulcano.
Lo rende noto lo studio “Magma migration at shallower levels and lava fountains sequence as revealed by borehole dilatometers on Etna volcano” realizzato a cura di un team di ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, recentemente pubblicato sulla rivista ‘Frontiers in Earth Sciences’.
“Inoltre, il rilevamento di micro deformazioni dell’edificio vulcanico – spiega l’Ingv – ha consentito di individuare dei segnali precursori che anticipano il verificarsi di una sequenza eruttiva”.
“Nei vulcani a condotto aperto come l’Etna- dice il vulcanologo Alessandro Bonaccorso, primo autore dello studio – una sfida importante è quella di rilevare e interpretare le variazioni di energia anche ultra-piccole associate a eventi minori ma critici come le fontane di lava. Questo obiettivo è potenzialmente raggiungibile con registrazioni di deformazioni di estrema precisione (cosiddette strain) indotte nell’edificio vulcanico e rilevabili, anche a distanze di diversi chilometri dall’area craterica, dai dilatometri installati in perforazioni profonde a centinaia di metri di profondità. Nei quattro mesi considerati, la rete di dilatometri dell’INGV installata sull’Etna ha registrato precise variazioni”.
“In particolare-prosegue Bonaccorso – micro variazioni, osservate in corrispondenza degli sciami sismici avvenuti nel dicembre 2020, hanno permesso di evidenziare la migrazione di magma in superficie che ha anticipato l’inizio della sequenza eruttiva”