CATANIA – Condanna a due anni, pena sospesa, per omicidio colposo e lesioni personali colpose, della ginecologa Maria Ausilia Palermo, che dovrà risarcire le parti civili assieme alla clinica cura Gibiino, ma assoluzione dall’accusa di falso. E’ la sentenza della prima Corte d’appello di Catania che ha riformato quella di primo grado, emessa il 3 marzo del 2020, dal tribunale monocratico, nel processo per la morte di Nicole Di Pietro, nata nella clinica Gibiino il 12 febbraio del 2015 e deceduta alcune ore dopo mentre era un’ambulanza diretta all’ospedale di Ragusa.
I giudici hanno assolto dal reato di falso, l’unico capo di imputazione per cui erano stati condannati, il neonatologo Antonio Di Pasquale, l’anestesista Giovanni Gibiino e l’ostetrica Valentina Spanò. Nei confronti di quest’ultimi tre, già prosciolti in primo grado dall’accusa di omicidio colposo, la Corte d’appello ha disposto la revoca delle statuizioni civili che sono rimaste a carico di Maria Ausilia Palermo e della clinica Gibiino che era presente nel processo come responsabile civile. Come parti civili si erano costituiti i genitori della piccola Nicole, i quattro nonni della piccola e l’assessorato regionale alla Salute.
Secondo l’accusa la ginecologa Maria Ausilia Palermo “avrebbe effettuato un monitoraggio inadeguato della partoriente nella fase di travaglio” e “non avvedendosi di una sofferenza fetale in atto, ometteva colposamente di intervenire chirurgicamente con un parto cesareo”, causando la morte della neonata. Condannata anche per lesioni personali colpose nei confronti di Tania Laura Egitto, madre di Nicole, per “la mancata rimozione di una garza durante le fasi di applicazione dei punti di sutura post partum”.
“Dinanzi a una tragedia così grande e al dolore dei familiari – dice l’avvocato Walter Rapisarda, difensore di Di Pasquale -, non è possibile esprimere sentimenti di soddisfazione. Oggi, semmai, è il momento di parlare di un altro dolore, quello di due ottimi medici che sono stati additati per anni di aver mistificato gli accadimenti, ponendo in essere una messa in scena per allontanare da sé le proprie responsabilità professionali. Già in primo grado quelle responsabilità erano state escluse. La sentenza da appello rende loro definitivamente giustizia, cancellando anche il solo sospetto che nella redazione degli atti a loro firma i medici fossero stati animati da intenti diversi da quello di rappresentare correttamente gli accadimenti di quella tragica notte”.