L.Cil.) La leggenda narra che Banksy possa materializzarsi da un momento all’altro in ogni città che ospita per la prima volta una delle sue opere uniche. Il segno del suo passaggio lo si vedrebbe solo dopo, sulla facciata di un palazzo, su una tela estemporanea, su un marciapiede o all’angolo di una strada. Mentre lui rimarrà, come sempre, invisibile. Banksy è inafferrabile. È inseguito dalla fama ma finge di sfuggirle. Si maschera, finge di nascondersi ma ogni nascondiglio è un palcoscenico fin troppo illuminato. Eppure, quando si guarda là dove puntano i riflettori, ci si accorge che non c’è nulla. Solo un’ombra che scompare appena la si illumina.
Ed è questo che si augurano in cuor loro i curatori della mostra Banksy-Warhol (Sabina De Gregori e Walter Stagnitta) e l’amministrazione comunale (con una iperattiva Barbara Mirabella) che ha messo a disposizione il Palazzo Platamone fino al 2 giugno.
Una mostra che strizza l’occhio ai giovani, al linguaggio dell’arte che una tempo era sconvolgente e che oggi rappresenta lo sguardo più vicino alla modernità a portata di smartphone. Lo sguardo curioso del prefetto Maria Carmela Librizzi accompagnata dal sindaco Salvo Pogliese nella stanza della musica, quella con la banana di Andy Warhol per i Velvet Underground e la zip nella copertina di Sticky Fingers dei Rolling Stones in mezzo ai cd dei Blur firmate da Banksy, racconta tanto.
Più di 100 le opere in mostra, provenienti da famose collezioni private di tutto il mondo e da importanti gallerie d’arte. Dalla Kate Moss sensuale di Banksy nella posa della Marilyn realizzata da Warhol nel 1962, all’autoritratto del 1967 Self Portrait di Warhol e dai suoi ritratti politici di Mao e Lenin, al dipinto di Lincoln, Winston Churchill e la Regina Elisabetta di Banksy. E, ancora, i ritratti pezzi unici di Mick Jagger, Billy Squier e Judy Garland di Warhol. Il pezzo forte è il famoso muro con la Bambina con l’Hula Hoop di Banksy – per la prima volta in assoluto in mostra in Italia – realizzato con la tecnica stencil a Nottingham nel 2020 poi staccato e acquistato da un ricco collezionista che ha alimentato la polemica sulla decontestualizzazione delle opere d’arte.
Banksy e Warhol, due artisti agli antipodi. Persino il nome di Warhol (per via della sua assonanza con “war all”) sembra sfidare, da un’epoca passata, l’odio che Banksy prova contro la guerra e che è diventato, insieme ai suoi famosi ratti, uno dei temi ricorrenti delle sue opere.
Il focus della mostra è proprio questo: investigare in parallelo gli obiettivi e gli intenti dei due artisti che più hanno lavorato sulla propria immagine pubblica. Il favoloso mondo di Andy Warhol, famoso e onnipresente, contro l’anonimo Banksy che non si è mai prestato a lasciarsi immortalare e che rischia l’arresto da Disneyland alla Palestina, giungendo però allo stesso risultato di Warhol: rendere la propria arte un evento mediatico mondiale.
Questa mostra ha come obiettivo, dunque, quello di presentare i due più importanti Business Artist della storia dell’arte, di evidenziare le caratteristiche che li accomunano e gli abissi che li separano. Così l’oggetto-opera diventa un bene di consumo. La provocazione al mercato dell’arte è esplicita. L’arte stessa diventa azione. E forse un po’ ispirazione per una Catania caduta nel torpore culturale da troppo tempo ormai.