PALERMO – Francesco Zummo, 90enne imprenditore di Palermo plurindagato e socio dell’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, è finito ai domiciliari con le accuse di riciclaggio e autoriciclaggio aggravati dalla transnazionalità nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Palermo alla quale hanno collaborato la Dda di Napoli e la Procura Anticorruzione albanese che hanno eseguito altre misure cautelari. Arrestato anche il commercialista Fabio Petruzzella, fratello di una magistrata palermitana: longa manus del costruttore, lo avrebbe aiutato a far sparire, sottraendoli alla confisca, 19 milioni spostati sul conto di una banca a Tirana.
I pm hanno disposto anche il sequestro della somma di circa 20 milioni di euro, depositata in Albania, e il sequestro di prevenzione per circa 30 milioni di euro (in esecuzione di decreto emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale), recuperando i beni sottratti all’esecuzione del decreto di confisca emesso nei confronti di Zummo.
L’inchiesta coinvolge anche un gruppo di albanesi che avrebbero aiutato Zummo e i suoi complici nelle loro operazioni finanziarie – le misure restrittive nei loro confronti sono state disposte dalla Procura di Tirana – e Daniele Castagalli, indagato dalla Procura di Napoli nell’ambito di un’altra indagine e sottoposto a fermo dalla Procura partenopea. L’inchiesta palermitana è coordinata dal procuratore Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Marzia Sabella.
Ex socio di Ciancimino, Zummo venne indagato anche dal giudice Giovanni Falcone e fu condannato in primo grado a 5 anni per favoreggiamento e associazione mafiosa e poi assolto in appello. Nel 2001 gli vennero sequestrati beni per circa 150 milioni di euro. Decine di pentiti lo hanno accusato di avere spostato in istituti di credito all’estero e in particolare in Svizzera, grosse somme di denaro di provenienza illecita, di aver riciclato il tesoro di Ciancimino e del “sacco” edilizio di Palermo e di essere stato in passato “a disposizione” di Cosa nostra. Una fortuna quella accumulata dal costruttore palermitano dalle alterne sorti giudiziarie. La confisca non passò il vaglio del Tribunale e della Corte d’appello che disposero per Zummo la sola misura di prevenzione personale, ma gli restituirono i beni.
La Cassazione, però, annullò le sentenze e dispose un nuovo giudizio di secondo grado che decise la confisca dell’intero patrimonio. Prima della sentenza, temendo un nuovo provvedimento patrimoniale, il costruttore, secondo gli inquirenti, avrebbe cercato di far sparire il denaro portandolo all’estero. Ad agosto scorso, la Procura Anticorruzione albanese ha segnalato ai pm di Palermo di aver bloccato un conto aperto dall’imprenditore in una banca greca a Tirana con 19 milioni di euro provenienti da istituti di credito svizzeri. Ad aiutare Zummo a occultare il denaro sarebbe stato Petruzzella, commercialista palermitano che vive a Milano. Decisive le intercettazioni a suo carico. Anche lui avrebbe aperto un conto in Albania. Nell’ambito dell’inchiesta, che ha scoperto oltre ai 19 milioni del conto albanese, disponibilità economiche riconducibili a Zummo per milioni di euro in altri istituti di credito, la Dia ha eseguito un maxisequestro. Nel registro degli indagati figura anche il figlio del costruttore, Ignazio.
Gli investigatori si sono imbattuti per la prima volta nel nome di Francesco Zummo grazie a un appunto scoperto nella macchina di Michael Pozza, il “front man” della mafia canadese trovato ucciso nel ’79 a Toronto. Successivamente, in una rogatoria effettuata nell’ambito dell’indagine ‘Pizza Connection’, coordinata da Giovanni Falcone all’inizio degli anni Ottanta, emerse che alcuni conti correnti di Zummo erano stati utilizzati per operazioni legate al traffico di stupefacenti denominato “Pizza connection”. Dopo alterne vicende giudiziarie, una condanna a 5 anni in primo grado e poi una assoluzione in appello per mafia e favoreggiamento, al costruttore furono sequestrati appartamenti, ville, auto, conti correnti bancari in Italia, Canada e nelle Isole Vergini per 200 milioni di euro. Zummo era sospettato di avere occultato parte del tesoro dell’ex sindaco e ha accompagnato due volte in Canada i figli di Ciancimino, assistendoli nell’acquisto di immobili. Tra beni finiti sotto sequestro anche il cosiddetto fondo Pluto: un deposito in una banca svizzera di 12 milioni.
Il tribunale sezione misure di prevenzione, però, come detto, non confiscò i beni e dispose per Zummo la sola misura di prevenzione personale per 5 anni. La sentenza venne confermata in appello. Fu la Cassazione a bocciare il provvedimento e a disporre un nuovo appello che, nel 2020, invertì totalmente rotta e confiscò il tesoro del socio di don Vito. Undici aziende, centinaia di conti correnti e immobili costituiti da numerosi appartamenti, ville terreni e aziende agricole a Palermo e provincia e cinque complessi residenziali nella provincia di Siena. “A partire dalla fine degli anni Sessanta – scrissero i giudici -, Zummo, con il consuocero Vincenzo Piazza (ritenuto fedele consigliere della famiglia mafiosa di Palermo-Uditore) e con il defunto socio e suo fedele braccio destro Francesco Civello, fu tra i principali responsabili del sacco edilizio di Palermo, ordito da Vito Ciancimino, realizzando un impero edile di circa 2.700 immobili”.
L’imprenditore, nonostante fosse vicino alle famiglie mafiose della Noce prima e a quella dell’Uditore poi, ricoprì un ruolo trasversale rispetto alle vicende della guerra di mafia, che portarono vari boss ad alternarsi per conquistare un controllo egemone sulla città e la provincia. Fu prestanome e custode dei proventi del narcotraffico, oggetto dell’indagine Pizza Connection, riconducibili ai boss Gaetano Badalamenti e ai Gambino, a Leonardo Greco e Michelangelo Aiello e di quelli, sempre di provenienza illecita, di Fulvio Lima, nipote dell’eurodeputato ucciso dalla mafia Salvo Lima. La protezione che Zummo poteva vantare, in cambio di tangenti e appartamenti, a suo tempo attirò le attenzioni investigative dell’allora giudice Istruttore Giovanni Falcone, poi confermate dalle rivelazioni di numerosi collaboratori di giustizia e dal testimone Massimo Ciancimino, figlio di don Vito. Quando la Corte d’Appello di Palermo, nel 2020, ribaltando i precedenti verdetti, confiscò il patrimonio del costruttore, mise nero su bianco che il patrimonio accumulato era il risultato dell’esercizio di una “vera e propria impresa mafiosa”.
Nell’ambito della maxi inchiesta, è stata individuata anche un’associazione criminale dedita al riciclaggio e al traffico internazionale di enormi quantitativi di stupefacenti, scoprendo anche il ruolo di alcuni indagati coinvolti nelle vicende oggetto di indagine della Procura di Palermo. Le indagini, avviate all’indomani del sequestro, eseguito nel giugno del 2020 nel porto di Salerno, di oltre 17 tonnellate di stupefacenti (di cui 2.884,5 chili di hashish e 14.191,88 chili di captagon), hanno condotto all’individuazione di una sofisticata banda, con basi in Albania, Italia e Svizzera, che importava grandi quantitativi di cocaina e hashish dal Sudamerica e dal Nordafrica e al riciclaggio dei relativi, enormi profitti. Le indagini della D.d.a. si sono avvalse della collaborazione – realizzata anche mediante l’attivazione di una Squadra Investigativa Comune – del Ministero Pubblico della Confederazione Svizzera e della Polizia Giudiziaria Federale (Divisione Criminalità Economica) di Lugano.