Si terrà il 24 gennaio, un lunedì, alle 15 il primo voto del Parlamento in seduta comune per eleggere il successore di Sergio Mattarella al Quirinale. La convocazione ufficiale è stata effettuata dal Presidente della Camera Roberto Fico, che ha anche scritto ai 20 Consigli Regionali perché eleggano i 58 delegati regionali che, insieme a senatori e deputati, formeranno il collegio di 1009 grandi elettori. Una cifra che pone problemi di assembramento e solleva preoccupazione a Montecitorio, dove ci si attrezza a fronteggiare le difficoltà. A fronte di numeri della pandemia in crescita, Stefano Ceccanti, deputato del Pd e costituzionalista, continua a chiedere che si adottino procedure adeguate alla situazione: se non il voto elettronico di ciascun parlamentare dal proprio studio, almeno far votare i senatori a Palazzo Madama e i deputati a Montecitorio, per poi svolgere lo scrutinio in questa seconda Aula. Ipotesi sostenuta anche da Valter Verini (Pd), che mette in guardia dall’idea di tagliar fuori i parlamentari “impossibilitati a votare perché positivi al Covid o in quarantena”.
Al momento, nelle prime riunioni tecniche alla Camera, l’ipotesi del voto a distanza non è presa in considerazione e si punta semmai a procedure che evitino gli assembramenti, come spiega il Questore anziano Gregorio Fontana (Fi): ad esempio è plausibile che il voto proceda per scaglioni, in base al cognome dei grandi elettori. Questo implica temi più lunghi e probabilmente una sola votazione al giorno, invece delle due delle precedenti occasioni. Assai probabile anche la chiusura della buvette, luogo dove ci si abbassa la mascherina per consumare cibo e bevande, e per questo più rischioso.
Il tema sollevato da Verini dell’assenza forzata di molti grandi elettori non è solo pratico: visto che i quorum per eleggere il Presidente della Repubblica (671 voti nei primi tre scrutini, 505 dal quarto) sono fissati dalla Costituzione e non sono ritoccabili, l’eventuale assenza di molti parlamentari renderebbe più difficile raggiungere tali quorum. Questa situazione spingerebbe a un accordo ampio che coinvolga almeno l’intera maggioranza di governo, che avrebbero così i numeri per eleggere il nuovo inquilino del Quirinale, anche ai primi scrutini.
Al contrario sembrano più in salita le candidature, per esempio quella di Silvio Berlusconi, che al momento sono sostenute solo da una parte della maggioranza. Oltre ai 630 deputati e i 320 senatori (compresi i 6 a vita), a Roma sono in arrivo i 58 delegati regionali, tre per ciascuna Regione, tranne la Val d’Aosta che ne invia uno solo. I Consigli regionali di Lombardia e Piemonte hanno già convocato la seduta per l’11 gennaio, e gli altri Consigli seguiranno nei giorni successivi. Per prassi due delegati di ogni Regione vanno alla maggioranza ed uno alle minoranze, ma la scelta implica un accordo politico a livello nazionale sia nel centrodestra (dove ci si dovrà pesare o sulla base delle ultime politiche o dei sondaggi) che nel centrosinistra, dove il Pd è chiamato a decidere se in qualche Regione consentirà l’elezione di un delegato di M5s, visto che il Movimento non guida alcuna Regione.