“Rispetto a un anno fa è cambiato il tipo di paziente ricoverato nelle terapie intensive: 7 su 10 sono non vaccinati, di questi la metà sono anche negazionisti, quindi non negano solo vaccino ma l’esistenza stessa del Covid e l’utilità delle cure. Vi arrivano in condizioni gravissime, dopo settimane senza cure o con pseudo cure. E spesso, una volta ricoverati, rifiutano procedure salvavita. Di conseguenza, la sopravvivenza di pazienti Covid che arrivano in terapia intensiva sta diminuendo rispetto a mesi fa”. A fare il punto della situazione è il presidente della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione terapia intensiva (Siaarti) Antonino Giarratano, direttore del dipartimento Emergenza e urgenza del Policlinico universitario di Palermo.
“In passato solo i malati oncologici terminali rifiutavano le cure, ora le rifiutano persone che possono esser salvate. Non era mai capitato prima – prosegue Giarratano – di ricoverare in terapia intensiva soggetti che, sapendo che stavano andando in arresto cardiaco, rifiutassero ventilazione meccanica, emodialisi o circolazione extracorporea. Ora, in alcuni casi, rifiutano persino la flebo con gli zuccheri o l’ossigeno per via nasale, perché ‘non sanno cosa ci sia dentro'”.
Da nord a sud la situazione “è pesante: abbiamo un numero inferiore di ricoverati rispetto a un anno fa ma con un disagio più grave perché non sono diminuiti i ricoveri in terapia intensiva non Covid, come quelli dovuti a incidenti stradali e sepsi. Tra l’altro si avvicina anche il picco influenzale”.
Un anno fa le cure scarseggiavano e bisognava capire come riuscire a curare tutti. Ora è il contrario: “Abbiamo le intensive piene di persone che non vogliono esser curate”. L’altro lato della medaglia è “una popolazione sanitaria bombardata da minacce di azioni legali, che non ce la fa più. Perché quando hai pochi minuti per intubare o ventilare un paziente, spesso devi scegliere tra sottoporgli il consenso informato o salvargli la vita”. Questo, conclude Giarratano, “è aspetto totalmente nuovo che va deontologicamente e eticamente ristudiato, serve una rivalutazione normativa”.