Cugini boss della droga col Rdc

Disarticolate tre piazze di spaccio nel Catanese, 13 arresti VIDEO

I carabinieri di Catania, supportati da reparti specializzati dell’Arma, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Gip, nei confronti di 13 persone indagate per associazione per delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di droga. L’indagine, coordinata dalla Procura Distrettuale e condotta dalla stazione dei carabinieri di Sant’Agata Li Battiati coadiuvata dal Nucleo operativo e Radiomobile della Compagnia di Gravina, ha fatto luce sull’operatività di un gruppo, dotato di una struttura verticistica e dedito al traffico di cocaina e marijuana in almeno tre fiorenti piazze di spaccio tra il capoluogo etneo e Mascalucia. Secondo l’accusa l’associazione sarebbe stata capeggiata da due cugini, risultati percettori del reddito di cittadinanza, e sarebbe stata capace di incassare oltre 8.000 euro al giorno dalla vendita della droga.

Dodici degli indagati, compresa una donna accusata di svolgere il ruolo di pusher col fidanzato, sono stati condotti in carcere. Il tredicesimo è stato sottoposto agli arresti domiciliari. L’indagine, da ottobre 2020 a maggio 2021, ha fatto emergere l’esistenza di “un’organizzazione criminale finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, operante nell’hinterland catanese di San Giovanni Galermo. Al vertice, secondo l’accusa, ci sarebbero i cugini Attilio Salici e Gaetano Salici che gestivano, tra l’altro, almeno tre fiorenti piazze di spaccio tra Catania e la villa comunale di Mascalucia.

I due sono risultati essere percettori del reddito di cittadinanza come altri due indagati, e avrebbero percepito illegalmente sussidi per oltre 36.000 euro complessivi. Lo spunto investigativo trae origine dall’arresto in flagranza di uno degli indagati sorpreso a cedere droga. Dalle indagini è emersa l’operatività costante di un gruppo dedito al traffico di droga, dotato di una base logistica e operativa in un autonoleggio di San Giovanni Galermo e strutturato secondo una precisa suddivisione dei compiti e degli orari di “lavoro”, con una “cassa” comune che poteva contare su un introito giornaliero di circa 8.000 euro.

In particolare, secondo quanto ricostruito dalla Procura, “la metodologia prevalente utilizzata nella distribuzione della sostanza era quella della cessione “porta a porta” – utilizzata anche in relazione alla limitazione alla circolazione a causa dell’emergenza da pandemia – mentre era ‘decriptato’ il linguaggio convenzionalmente adottato dagli indagati per la compravendita della sostanza stupefacente”. L’attività ha consentito di sequestrare in flagranza di reato oltre due chili di droga, tra marijuana e cocaina, grazie al monitoraggio della numerosa clientela.

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