RAFFADALI (AGRIGENTO) – Un 24enne, Vincenzo Gabriele Rampello, è stato ucciso dal padre con 15 colpi di pistola a Raffadali, nell’Agrigentino. L’omicidio è stato commesso in piazza Progresso.
Per l’omicidio è stato fermato Gaetano Rampello, 57 anni, assistente capo coordinatore della polizia in servizio a Catania. I due hanno avuto un’accesa discussione al culmine della quale il poliziotto ha estratto la pistola d’ordinanza sparando a distanza ravvicinata contro il 24enne e uccidendolo. Poi il padre si è spostato su una panchina, dove si è seduto in attesa di un pullman di linea e dove è stato trovato e bloccato dai carabinieri.
Interrogato dal sostituto procuratore, ha ammesso di avere assassinato il figlio ed è stato arrestato. Gli investigatori hanno ricostruito i continui dissidi familiari, anche di natura economica, fra il padre che viveva a Catania e il figlio che, dopo la separazione dei genitori, era rimasto a vivere da solo a Raffadali.
La causa scatenante sarebbe la continua richiesta di soldi da parte del ragazzo. In piazza, secondo il racconto dell’assassino, ha insultato pesantemente il padre e poi gli ha intimato di consegnargli denaro che spendeva anche per fare acquisti online: “Mi devi dare altri 15 euro…”, gli ha urlato. E così al culmine dell’ennesima aggressione il 57enne ha estratto la pistola di ordinanza e ha sparato. Rampello ha inquadrato il delitto nel profondo disagio vissuto all’interno della famiglia per le condizioni di salute del ragazzo che aveva delle fragilità psicologiche e che, per tre anni, secondo il racconto del padre, era stato ricoverato in una struttura specializzata.
“Gli davo 600 euro al mese – ha detto Gaetano Rampello – ma non gli bastavano mai, mi picchiava e minacciava sempre per i soldi”. Questa mattina l’ennesima lite. “Mi ha telefonato chiedendomi 30 euro – avrebbe detto durante l’interrogatorio -, quando glieli ho dati ha iniziato a insultarmi e minacciarmi dicendomi che ne voleva 50. Mi ha aggredito e sfilato il portafogli prendendo altri 15 euro, di più non avevo in tasca. A quel punto ho avuto un corto circuito – ha ricostruito il poliziotto – e gli ho sparato non so quanti colpi”. Il giovane in passato era stato più volte denunciato per aggressioni al padre.
“La città è sconvolta – dice il sindaco del paese agrigentino, Silvio Cuffaro -. Conoscevamo tutti il ragazzo, aveva una vita sociale un po’ turbolenta, ma veniva accettata da tutti i raffadalesi. Aveva avuto un’infanzia difficile per via della separazione dei genitori. Il papà, per lavoro, viveva a Catania. La mamma, invece, a Sciacca. Vincenzo Gabriele, dopo la separazione dei suoi genitori, era rimasto a vivere da solo a Raffadali, ma c’era uno zio che si prendeva cura di lui. Era introverso e molto diffidente, non lavorava e veniva mantenuto dal papà che mensilmente tornava per stare un po’ con lui e per dargli il necessario sostentamento economico. Il Comune ha cercato di coinvolgerlo, per dargli anche delle motivazioni, in lavoretti per conto del Municipio, ma non c’è stato verso. Per tanti anni, da piccolo, è stato ricoverato in una comunità per bimbi con disagio sociale. Spesso, quando andava scorrazzando con la moto era richiamato dal comandante della polizia municipale, ma era anche un ragazzo molto ordinato e pulito. Aveva una grande passione per l’elettronica. Comprava tutto quello che era d’ultima generazione”.
Per il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, “i recenti episodi di inaudita violenza avvenuti in questi giorni in provincia di Agrigento hanno evidenziato malesseri profondi all’interno della società e delle famiglie, acuiti dal grave isolamento provocato dalla pandemia e non adeguatamente contenuti da un sistema socio-sanitario-assistenziale non sempre pronto a erogare idonei servizi alla collettività”.
Il riferimento è anche alla strage di Licata del 26 gennaio scorso quando un uomo ha ucciso il fratello, la cognata e i loro due figli, di 15 e 11 anni, e poi si è suicidato. “Troppo spesso quelli che vengono definiti ‘gesti di follia’ – aggiunge il magistrato che coordina le indagini dei carabinieri – sono il portato di conflitti sociali e familiari che il ‘sistema’, inteso in senso ampio e non escluso quello giudiziario, non è stato in grado di adeguatamente e legittimamente arginare e contenere”.