PALERMO – Avevano il terrore di essere riportati in Libia, per loro la Libia era la morte. E pur non avendo mai visto il mare e non sapendo nuotare preferivano buttarsi in acqua sperando di raggiungere a nuoto la costa, la salvezza. Cristina Camilleri, psicologa responsabile del Dipartimento salute mentale di Agrigento, racconta in aula lo stato in cui trovò i migranti soccorsi dalla nave della Ong spagnola Open Arms ad agosto del 2019. La Procura di Palermo l’ha citata al processo per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio all’ex ministro dell’Interno leghista Matteo Salvini che negò ai profughi a bordo dell’imbarcazione l’approdo a Lampedusa. Un racconto drammatico quello della donna, salita a bordo con un collega su ordine del procuratore di Agrigento che dopo una ispezione di 100 minuti, il 20 agosto, fece sbarcare tutti. In mare erano rimasti 20 giorni.
Dure anche le parole del medico salito a bordo con la Camilleri, Vincenzo Asaro. “Quando salimmo erano tutti sul ponte sotto una specie di copertura per ripararsi dal sole. C’erano solo una piccola cambusa e due bagni, non avevano sapone per lavarsi e trovammo una catasta di rifiuti”, dice. La Open Arms aveva caricato a bordo 147 profughi salvati in acque Sar maltesi e libiche in tre missioni compiute l’1, il 3 e il 9 agosto. In aula c’è l’imputato Matteo Salvini che ascolta in silenzio i racconti dei testimoni. Un unico commento nelle pause di una udienza fiume. “Se questi sono i testi dell’accusa abbiamo già vinto. Non c’è un elemento a mio carico. Fossero tutti così”, dice. Poi è la volta di uno dei personaggi chiave dell’accusa, il comandante della nave Open Arms, Marc Reig Creus, che è teste e parte civile e racconta i soccorsi in mare e le richieste a Malta e all’Italia di indicare un porto sicuro alla sua nave. “Malta disse no, l’Italia non rispose”, spiega.
Ma la difesa di Salvini, rappresentata dall’avvocato Giulia Bongiorno, lo incalza insinuando che la Open Arms, cambiando destinazione improvvisamente il 29 luglio, si sarebbe diretta verso il tratto di mare in cui l’1 agosto fu compiuto il primo intervento di soccorso. Non un salvataggio d’emergenza, dunque, ma una sorta di appuntamento con i profughi fa capire la legale. “Nessun appuntamento”, smentisce il comandante. Bongiorno contesta al teste anche la decisione di non dirigersi in Spagna l’1 agosto, visto che le condizioni del mare erano buone, sapeva che nelle acque italiane c’era il divieto di ingresso e che sarebbe incorso in sanzioni ed erano distanti dalla penisola iberica solo 60 ore. “Se mi fossi diretto in Spagna avrei violato la legge che regola i salvataggi in mare”, replica Creus. Il teste ricorda anche gli ultimi giorni della lunga odissea, con l’offerta di Malta di far sbarcare 39 profughi a La Vallettta e la sua decisione di dire no. “Non avremmo potuto spiegare a chi fosse rimasto sulla Open Arms perché solo alcuni potevano essere portati a terra e altri no”.