Rabbia, dolore e desiderio di vendetta. Questo trasmettono le parole del padre di Carol Maltesi, la 26enne uccisa dal vicino di casa Davide Fontana, 43 anni, perché aveva deciso di allontanarsi da lui, a Rescaldina (Milano), e i cui resti sono stati ritrovati nel Bresciano, a distanza di due mesi dal delitto. “Nessuna pietà per questo mostro… Diavolo maledetto, assassino psicopatico, macellaio schifoso, come ti sei permesso di togliere la vita e torturare il bel viso e il corpo della mia bimba, anche dopo la sua morte”, ha scritto Fabio Maltesi dall’Olanda, dove vive da diversi anni, sulla sua bacheca Facebook, augurando all’omicida reo confesso della figlia il peggiore destino. E’ come se lo avesse avuto davanti, quando ha digitato una frase livorosa dietro l’altra, tra una domanda (“perché non ci hai provato con me pezzo di…?”) e una minaccia: “Ti aspetto quando esci dal carcere, anche dopo 30 anni, se non io qualcuno dei miei amici”. I post su quanto ha fatto Fontana proseguono per giorni, e Maltesi lo maledice per aver deturpato il corpo della figlia e averla “torturata” dopo morta, distruggendo per sempre il suo “diamante”.
Sono le parole di un padre arrabbiato e addolorato, lontano fisicamente ma che alla sua “principessa”, come la chiamava, era legatissimo. Lo era lui quanto la sua ex moglie, madre di Carol, che, prima tramite avvocato e poi da interviste televisive, ha raccontato il suo legame con quella giovane indipendente che voleva tornare a vivere accanto a suo figlio, avuto con un coetaneo di poco più di 20 anni. Quel suo progetto, quel desiderio di spostarsi in Veneto dove suo figlio vive con il papà, sono stati la sua condanna a morte. Lo ha dichiarato il suo assassino durante i tre interrogatori sostenuti dal suo arresto, i primi due con pm e gip di Brescia, il terzo con i magistrati di Busto Arsizio (Varese), che hanno ereditato il fascicolo dell’inchiesta per competenza territoriale. Fontana, secondo quanto dichiarato dal suo avvocato, nel terzo confronto con gli inquirenti ha avuto un “crollo emotivo” e si è dato del vigliacco per non aver chiamato subito i soccorsi, dopo quanto accaduto nella sua abitazione affittata per stare vicino alla donna di cui affermava di essersi innamorato.
Ed è proprio nell’appartamento di Rescaldina che la scorsa settimana gli investigatori della scientifica dell’Arma sono andati insieme al Procuratore della Repubblica di Busto Arsizio Carlo Nocerino, alla ricerca di prove ed elementi che suffragassero le dichiarazioni del killer, in parte riuscendoci nell’immediato, che poi saranno refertate nelle prossime settimane. Sentite tutte le persone vicine alla giovane uccisa e al suo omicida, inclusa la ex moglie dell’uomo, evidentemente sconvolta. Oggi le indagini si concentrano anche sui device di vittima e carnefice, per comprendere se Carol si sentisse in qualche modo minacciata da Fontana, se avesse parlato con qualcuno della sua presunta ossessione per lei, e della sua gelosia per le frequentazioni che la ragazza aveva messo in chiaro di volere, dopo una breve liaison con il 43enne. Allo stesso modo, tra pc e telefono dell’omicida, gli inquirenti cercheranno tracce di un’eventuale premeditazione del delitto, passando al setaccio tutta la sua cronologia di ricerca anche in merito alle scelte operate per i tentativi di cancellare l’identità della giovane e per la distruzione del suo cadavere. Le sue azioni e le sue successive parole, hanno scatenato la rabbia del padre di Carol, che tra una foto ricordo della figlia e una canzone a lei dedicata, sui social afferma che per “il mostro non ci deve essere alcuna pietà”.