LONDRA – Un trono sulla sinistra di uno spazio vuoto, illuminato dallo scintillio di quella che fu la corona imperiale britannica, ma per la prima volta da tempo immemorabile senza la presenza della 96enne regina Elisabetta. E’ lo scranno dal quale il principe Carlo, eterno erede in attesa di successione, ha conquistato a 73 anni suonati il centro della scena a Westminster, debuttando nella lettura del tradizionale Queen’s Speech: il discorso affidato di regola al monarca di turno per l’elencazione davanti alle Camere riunite del programma annuale del governo vigente in occasione dell’inaugurazione solenne d’una nuova sessione parlamentare (Opening State of Parliament). Un’immagine mai così vicina a quella di un sovrano regnante, per il principe di Galles, complice l’ennesimo forfait recente cui sua madre – alle prese da qualche mese con le prime vere fragilità di un’età anagrafica alle quali pure la sua fibra straordinaria rifiuta d’arrendersi – è stata infine costretta, “con riluttanza”, e su raccomandazione dei medici, a causa di quelli ufficialmente vengono definiti “episodici problemi di mobilità”.
Quasi il presagio di un momento storico di transizione per l’isola, se non ancora di quel passaggio di consegne formale che un intero Paese sembra voler allontanare quanto più possibile, come dinanzi al timor-panico di un salto nel vuoto, dopo 70 anni di regno. Accompagnato dalla consorte Camilla, Carlo ha affrontato l’incombenza senza baldanza, ma senza mostrare esitazioni. E’ sceso dall’ultima delle Rolls Royce del corteo reale con indosso la divisa da ammiraglio della Royal Navy che fu anche di suo padre Filippo, ha ricevuto gli onori di rito previsti dal protocollo e ha poi preso posto sotto i riflettori nell’aula color rosso bordeaux della Camera dei Lord: con la duchessa di Cornovaglia sistemata un gradino più in basso sulla sua sinistra; e il principe William – all’esordio assoluto nella cerimonia, in veste di primogenito e futuro re dopo di lui – in abito civile con decorazioni sulla destra.
La lettura del testo – punteggiato da una lista di 38 progetti di legge attraverso cui la compagine Tory di Boris Johnson promette, nello scetticismo dell’opposizione laburista, di offrire “munizioni” alle speranze di ripresa economica, di contrastare il caro energia che affligge tante famiglie e l’inflazione aggravate dalla guerra in Ucraina, di ridurre le radicate disuguaglianze territoriali dell’isola e d’innescare finalmente gli sbandierati “benefici della Brexit”, rivendicando al contempo al Regno Unito “un ruolo leader nella difesa della libertà e della democrazia nel mondo” dinanzi alla sfida di Russia e Cina – si è quindi consumata nello stesso tono piano, quasi soffuso, usato abitualmente da Elisabetta II. Con la sola differenza dei riferimenti agli impegni elencati come impegni “del governo e dei ministri di Sua Maestà”; non “del mio governo” o “dei miei ministri” secondo la formulazione abituale della sovrana in carica.
Il segno di un ruolo che resta per adesso di colui che fa le veci, seppure sempre più nei panni di co-reggente di fatto. Del resto, la defezione della regina a questo appuntamento istituzionale clou non può non essere evidenziata come inedita nei sette decenni di un’epopea da record iniziata nel lontano 1952 e suggellata giusto in questo 2022 dal traguardo del Giubileo di Platino sul trono. Senza precedenti poiché le assenze del 1959 e del ’63, le uniche consegnate agli archivi, furono determinate esclusivamente dall’avanzato stato di gravidanza prima degli ultimi 2 parti, notano i Royal Correspondent. E perché allora Sua Maestà si limitò a farsi rappresentare dalla voce di un funzionario, il Lord Chancellor; mentre per trovare il precedente d’un onore analogo riservato a un delfino bisogna risalire indietro di 200 anni e oltre.