Non perde il posto di lavoro il cassiere che, quasi come un ‘automa’, allunga la mano nel ripiano di merendine e si mangia un piccolo snack del valore di 70 centesimi sotto gli occhi del ‘sorvegliante’ senza pagarlo e senza curarsi di mimetizzare l’accaduto. La Cassazione ha infatti respinto il ricorso di una catena siciliana di supermercati, ora ceduta e in liquidazione dal 2019, contro la decisione della Corte di appello di Catania che aveva stabilito l’illegittimità della lettera di licenziamento disciplinare recapitata nel giugno del 2011 a Luca M., addetto alla cassa ‘reo’ di “aver prelevato uno snack dall’espositore”.
Ad avviso dei giudici “dalla dinamica dei fatti non emergeva alcuna cautela frodatoria da parte del lavoratore il quale in modo visibile e senza allontanarsi dalla sua postazione lavorativa non aveva posto in essere alcun particolare accorgimento atto ad occultare il suo gesto tant’è che era stato prontamente ripreso dal responsabile”. Inoltre, ricordano gli ‘ermellini’ , “non era riscontrabile nessuna particolare ostinazione da parte del lavoratore nella negazione del fatto, dato che si era limitato, in sede di giustificazione, a dichiarare di ‘non ricordarsi’ l’episodio ammettendo l’eventualità dell’addebito, imputato a leggerezza e al suo bisogno di assumere sostanze zuccherine perché soggetto a frequenti crisi ipoglicemiche”.
Senza successo dunque la ‘Roberto Abate spa in liquidazione’ – la catena della grande distribuzione che ha dichiarato ‘guerra’ per la merendina -, che ha protestato in Cassazione facendo presente che la contrattazione collettiva sanziona “l’appropriazione di beni aziendali sul luogo di lavoro con la sanzione espulsiva”. In proposito gli ‘ermellini’ hanno replicato che la Corte di appello “ha ampiamente motivato in ordine alle concrete circostanze di fatto che deponevano per un complessivo ‘ridimensionamento’ dell’episodio ed in particolare per una prognosi favorevole circa il futuro corretto adempimento da parte dei dipendente degli obblighi scaturenti dal rapporto di lavoro”.
Quanto alla circostanza che il contratto del comparto prevede il licenziamento per chi si impossessa di beni aziendali, la Cassazione osserva che i giudici di merito sono liberi di valutare “in modo autonomo” le ‘cattive azioni’ addebitate ai lavoratori senza applicare pedissequamente le ‘punizioni’ contemplate dai contratti collettivi. Anche in primo grado il licenziamento del cassiere era stato ritenuto eccessivo e non proporzionato rispetto all’accusa di aver mangiato la merendina senza pagarla. Oltre ad aver respinto il reclamo del datore di lavoro, la Cassazione lo ha anche condannato a pagare 5 mila euro di spese legali in favore della difesa del lavoratorea.