PALERMO – Nella sua Palermo, Sergio Mattarella commemora le vittime delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Il capo dello Stato ha raggiunto al Foro Italico la folla di studenti provenienti da tutt’Italia e Maria Falcone. “Sono trascorsi trent’anni da quel terribile 23 maggio allorché la storia della nostra Repubblica sembrò fermarsi come annientata dal dolore e dalla paura – ha detto Mattarella -. Il silenzio assordante dopo l’inaudito boato rappresenta in maniera efficace il disorientamento che provò il Paese di fronte a quell’agguato senza precedenti, in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani”.
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“Del tutto al contrario di quanto avevano immaginato gli autori del vile attentato, allo smarrimento iniziale seguì l’immediata reazione delle istituzioni democratiche. Il dolore e lo sgomento di quei giorni divennero la drammatica occasione per reagire al violento attacco sferrato dalla mafia; a quella ferocia la nostra democrazia si oppose con la forza degli strumenti propri dello Stato di diritto – continua Mattarella -. Altrettanto significativa fu la risposta della società civile, che non accettò di subire in silenzio quella umiliazione e incoraggiò il lavoro degli investigatori contribuendo alla stagione di rinnovamento”.
“Nel 1992 Giovanni Falcone e Paolo Borsellino furono colpiti perché, con la loro professionalità e determinazione, avevano inferto colpi durissimi alla mafia, con prospettive di ulteriori seguiti di grande efficacia, attraverso una rigorosa strategia investigativa capace di portarne allo scoperto l’organizzazione. La mafia li temeva per questo: perché avevano dimostrato che essa non era imbattibile e che lo Stato era in grado di sconfiggerla attraverso la forza del diritto”.
“Onorare oggi la memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vuol dire rinnovare quell’impegno, riproponendone il coraggio e la determinazione. L’impegno contro la criminalità non consente pause né distrazioni. Giovanni Falcone diceva che ‘l’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa – aggiunge Mattarella -. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza’. Agiva non in spregio del pericolo o alla ricerca di forme ostentate di eroismo bensì nella consapevolezza che l’unico percorso possibile fosse quello che offre il tenace perseguimento della legalità, attraverso cui si realizza il riscatto morale della società civile”.
“La fermezza del suo operato nasceva dalla radicata convinzione che non vi fossero alternative al rispetto della legge, a qualunque costo, anche a quello della vita. Con la consapevolezza che in gioco fosse la dignità delle funzioni rivestite e la propria dignità. Coltivava il coraggio contro la viltà, frutto della paura e della fragilità di fronte all’arroganza della mafia. Falcone non si abbandonò mai alla rassegnazione o all’indifferenza”.
“Falcone era un grande magistrato e un uomo con forte senso delle istituzioni. Non ebbe mai la tentazione di distinguere le due identità perché aveva ben chiaro che la funzione del magistrato rappresenta una delle maggiori espressioni della nostra democrazia e, in qualunque ruolo, ha sempre inteso contribuire, con competenza e serietà, all’affermazione dello Stato di diritto. La portata della sua eredità è resa evidente anche dalle modalità della celebrazione di oggi, attraverso la quale viene rinnovato l’impegno contro la mafia”.
“Le visioni d’avanguardia, lucidamente profetiche, di Falcone non furono sempre comprese; anzi in taluni casi vennero osteggiate anche da atteggiamenti diffusi nella stessa magistratura, che col tempo, superando errori, ha saputo farne patrimonio comune e valorizzarle. Anche l’ordinamento giudiziario è stato modificato per attribuire un maggior rilievo alle obiettive qualità professionali del magistrato rispetto al criterio della mera anzianità, non idoneo a rispondere alle esigenze dell’ordine giudiziario”.
“Da queste drammatiche esperienze si dovrebbe trarre un importante insegnamento per il futuro: evitare di adottare le misure necessarie solo quando si presentano condizioni di emergenza. È compito delle istituzioni prevedere e agire per tempo, senza dover attendere il verificarsi di eventi drammatici per essere costretti a intervenire. È questa consapevolezza che dovrebbe guidare costantemente l’azione delle Istituzioni per rendere onore alla memoria dei servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la tutela dei valori su cui si fonda la nostra Repubblica”.
“Stiamo affrontando una stagione difficile, dolorosa, segnata prima dalla pandemia e poi dalla guerra nel cuore dell’Europa, che sta riproponendo quegli stessi orrori di cui l’Italia conserva ancora il ricordo e che mai avremmo immaginato che si ripresentassero nel nostro Continente. Ancora una volta sono in gioco valori fondanti della nostra convivenza. La violenza della prevaricazione pretende di sostituirsi alla forza del diritto. Con tragiche sofferenze per le popolazioni coinvolte. Con grave pregiudizio per il sistema delle relazioni internazionali. Il ripristino degli ordinamenti internazionali, anche in questo caso, è fare giustizia. Raccogliere il testimone della ‘visione’ di Falcone significa affrontare con la stessa lucidità le prove dell’oggi, perché a prevalere sia la causa della giustizia; al servizio della libertà e della democrazia”, ha concluso il capo dello Stato.
Numerosi gli esponenti del governo presenti: i ministri dell’Istruzione Patrizio Bianchi, dell’Interno Luciana Lamorgese, della Giustizia Marta Cartabia, dell’Università Maria Cristina Messa, degli Esteri Luigi Di Maio. All’evento allo Spasimo anche Maria Falcone, sorella di Giovanni: “Sarà bellissimo quando prenderemo anche Matteo Messina Denaro. Quando accadrà brinderemo insieme, con il ministro dell’Interno e della Giustizia”.
Le manifestazioni di commemorazione si sono concluse davanti all’albero Falcone, dove si sono radunate centinaia di persone, con le note del silenzio e la lettura dei nomi delle vittime, allo scoccare delle 17.58, l’ora esatta della strage di Capaci. Gianni Morandi ha intonato “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones”: “E’ bello – ha detto – vedere tutti questi giovani che sono qui. Noi come musicisti possiamo solo cantare, le cose le potete cambiare solo voi”.
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