LONDRA – Un’accoglienza tutto sommato calorosa per i ‘reprobi’. Il Giubileo di Platino dei 70 anni sul trono della regina Elisabetta – costretta di nuovo a prendere fiato nel castello di Windsor dopo le fatiche del bagno di folla d’esordio – è entrato nel secondo dei 4 giorni di celebrazioni pubbliche riaccendendo i riflettori anche sui duchi ribelli Harry e Meghan: tornati a presenziare insieme a un evento solenne della monarchia oltre due anni dopo lo strappo dalla Royal Family, il trasloco negli Usa, la rinuncia obbligata allo status di reali senior e le polemiche che ne sono seguite. Un ritorno segnato dal basso profilo ieri, quando i due sono rimasti dietro le quinte a Buckingham Palace di quel balcone su cui – per l’incontro di popolo che ha inaugurato i festeggiamenti – la 96enne matriarca di casa Windsor si è mostrata al fianco dei soli membri della dinastia “in servizio attivo”. E improntato ancora al riserbo per ciò che riguarda i figlioletti Archie e Lilibet Diana (detta Lili), sottratti agli sguardi del pubblico almeno fino al primo compleanno in calendario domani della più piccola: attesa nel Regno Unito e dalla bisnonna regina fin dal momento della sua nascita nella lontana California.
Ma suggellato oggi da un primo riconoscimento del loro rango, garantito dal protocollo secondo la Bbc per volere di Elisabetta II in persona: assente “con grande riluttanza” alla liturgia religiosa di ringraziamento riservata a 400 ospiti scelti e alle elite del Paese (come anche al Derby ippico Epsom di domani, inserito quest’anno tra gli appuntamenti in suo onore); e tuttavia attenta nel seguirne passo passo i riti attraverso gli schermi della tv. Una celebrazione preceduta dalla sfilata degli arrivi degli invitati in ghingheri di fronte a una platea di ammiratori e sudditi numerosa anche oggi, Union Jack al vento, per quanto in misura inferiore rispetto alla marea del giorno prima. In un contesto nel quale il premier conservatore Boris Johnson, giunto in compagnia della first lady Carrie e chiamato poi nella basilica a leggere anche una pagina del Nuovo Testamento, è stato investito da salve di boati di disapprovazione – unico fra i politici presenti, di opposizione o del suo stesso governo – da ampi settori della piazza, in risposta allo scandalo Partygate che continua a minacciarne la poltrona. E che ha visto viceversa i Sussex incassare applausi in grado di soverchiare quelli che persino il Mirror online, uno dei tabloid loro visceralmente ostili, ha definito “fischi isolati”.
Parlare di ricucitura piena sarebbe eccessivo, visto che poi in chiesa – complice il cerimoniale – la coppia è sfuggita a contatti di sorta con il padre e il fratello del principe, l’erede al trono Carlo e il secondo in linea di successione William, protagonisti principali delle incomprensioni con loro. Ma comunque Harry e Meghan sono stati ricevuti con sorrisi e scambi di battute amabili da tutti i dignitari presenti – religiosi, civili, militari – di un’assemblea cui si è cercato di dare un’immagine la più varia e multietnica possibile. Mentre nella successione degli arrivi sono stati trattati con i guanti, ricevuti individualmente per terzultimi, prima soltanto di William e Kate (elegantissima in abito giallo quanto Meghan in bianco) e naturalmente di Carlo con Camilla: ultimi ad accedere e primi a uscire nel giorno in cui l’ennesima defezione in extremis della regina ha restituito all’eterno delfino 73enne il centro della scena. Un passaggio di consegne che l’arcivescovo anglicano di York, Stephen Cottrell, concelebrante della liturgia con presuli uomini e donne, si è affrettato a minimizzare rivolgendosi direttamente a Elisabetta dal pulpito del suo sermone in toni rassicuranti: “Maestà, ci dispiace che non sia qui con noi stamattina, ma Lei è ancora in sella. E siamo felici che abbia altra strada da fare”.
Una strada il cui traguardo finale appare tuttavia in vista anche agli occhi di un osservatore istituzionale, cauto e rispettoso come Jonny Dymond, royal correspondent della Bbc, che ricava dallo snodarsi del Giubileo la sensazione di un momento epocale di “celebrazione e ringraziamento per un’era” avviata in effetti “a conclusione”. E che legge nel moltiplicarsi di segnali senza precedenti come le deleghe di rappresentanza della monarchia affidate al principe Carlo in tutte le più importanti cerimonie “militari, religiose e istituzionali” recenti del Regno il presagio di “una transizione che nel più britannico dei modi – non dichiarato, non scritto e non espresso – è già cominciata”.