PALERMO – “Sono sempre stato diffidente nei confronti di chi dalla mattina alla sera parla di antimafia. Sono pericolosi, pericolosi”. Così il governatore della Sicilia, Nello Musumeci, ha detto al convegno a Palermo organizzato da Fratelli d’Italia in memoria di Paolo Borsellino e degli agenti di scorta assassinati trent’anni fa nella strage di via D’Amelio. “Perché fanno la lista dei buoni e dei cattivi, perché si ergono ad avere una superiorità genetica, perché fanno gli anti-mafiosi per mestiere, perché si auto-accreditano una sorta di passaporto: questa parabola per molti dei professionisti dell’antimafia è durata poco e si è conclusa nelle aule di giustizia, nelle pagine di cronaca nera e giudiziaria dei giornali. Erano mestieranti, il più pulito aveva la rogna”, ha aggiunto il governatore.
“Certa sinistra, ma anche il mondo del populismo grillino, ha tentato in questi anni di accreditarsi un ruolo di mestieranti dell’antimafia per delegittimare gli avversari: li abbiamo smascherati, abbiamo dimostrato che l’antimafia da mestiere ormai in Sicilia non trova più terreno fertile per attecchire. Lo abbiamo fatto con coraggio e determinazione. Noi di destra sappiamo cosa è l’antimafia militante”, ha detto ancora.
“Io avevo 39 anni quando la mafia mi condannò a morte, una sentenza che non venne eseguita per due ore: quando i servizi intercettarono la telefonata e sventarono l’attendato dinamitardo davanti casa mia – ha concluso Musumeci – ero colpevole di avere sottratto alla mafia un appalto di 52 miliardi di lire per un centro sportivo che si doveva realizzare ai piedi dell’Etna. Da allora sono stato sotto scorta. Ma non ne abbiamo mai fatto un mestiere, anzi l’abbiamo evitato. Per noi di destra, l’antimafia è nel codice genetico”.