MILANO – Di fronte all’alternativa di far funzionare la relazione col compagno o di accudire sua figlia di un anno e mezzo, lasciata sola in casa per 6 giorni, ha scelto la prima, sapendo benissimo che poteva morire. L’ha confessato lei stessa e sta in questa decisione, frutto di una “personalità non equilibrata”, la “principale motivazione” che ha spinto Alessia Pifferi, 37 anni, abituata a mentire ai familiari e alle persone vicine, ad abbandonare Diana, morta di stenti. Un fatto orribile che il gip di Milano Fabrizio Filice, disponendo con ordinanza il carcere per la donna, qualifica come omicidio volontario, come aveva chiesto il pm Francesco De Tommasi, ricalibrando solo alcuni aspetti giuridici.
“Io ci contavo sulla possibilità di avere un futuro con lui (il compagno, non è il padre della bimba, ndr) e infatti era proprio quello che in quei giorni stavo cercando di capire; è per questo che ho ritenuto cruciale non interrompere quei giorni in cui ero con lui anche quando ho avuto paura che la bambina potesse stare molto male o morire”, è il passaggio ‘chiave’ dell’interrogatorio di Pifferi davanti al giudice. La madre chiuse la porta della casa di Milano nel tardo pomeriggio del 14 luglio, mettendo accanto a Diana solo un biberon con del latte, andò dal compagno a Leffe (Bergamo), ripassò con lui, ignaro di tutto, per Milano, il lunedì. Ma non andò dalla figlia e rientrò in via Parea solo il 20 luglio.
“Mi diceva che preferiva venire senza di lei così ‘respirava’”, ha messo a verbale il compagno, con cui il rapporto era ripreso a giugno, dopo che lei aveva frequentato due uomini. Nelle ultime settimane, per diversi weekend, era andata da lui senza portare la figlia. Gli diceva che “Diana rimaneva con la sorella” o con “la babysitter”. Tutte bugie, mentre “se lei l’avesse portata”, così ha riferito lui agli investigatori della Squadra mobile, gli avrebbe “fatto piacere”. La 37enne, “incline alla mistificazione” e senza “rispetto per la vita umana”, analizza il gip, aveva una “forma di dipendenza psicologica dall’attuale compagno, che l’ha indotta ad anteporre la possibilità di mantenere una relazione con lui anche a costo dell’inflizione di enormi sofferenze” alla bimba. Con un comportamento “dall’impatto intrinsecamente ed estremamente violento, anche se non in forma commissiva, nei confronti della persona in assoluto più vulnerabile”.
E’ stato riconosciuto l’omicidio volontario con condotte “omissive”. Pifferi non si è limitata a prevedere e accettare “il rischio” che la piccola morisse ma, “pur non perseguendolo come suo scopo finale, alternativamente” lo ha voluto. Così ha giustificato il fatto di essere passata per Milano senza correre da Diana per salvarla: “Dopo una discussione – ha raccontato la donna – lui ha detto che mi avrebbe riaccompagnata a casa, poi però ho visto che mi prendeva la mano e che si dirigeva verso Leffe, lì ho capito che saremmo tornati a casa sua e non ho detto niente”. I giorni scorrevano via. “Avevo paura che la bambina potesse morire – ha aggiunto – dall’altra però avevo anche paura sia della reazione, del giudizio negativo di mia sorella (non la chiamò per mandarla a soccorrere Diana, ndr), sia della reazione del mio compagno”.
E ancora: “A partire dalla domenica (…) ho cominciato ad avere concretamente paura che la bambina morisse ma comunque mi auguravo che non succedesse (…) era una specie di speranza, un po’ era il pensiero che magari le cose che le avevo lasciato le bastassero”. Dopo il terzo giorno, ha aggiunto, “non ero tranquilla, ma forse ha prevalso la mia stanchezza che mi portavo dentro, perché sono una ragazza madre, nessuno mi aiutava ed era molto pesante”. Per il gip, aveva una “indiscutibile urgenza” di essere “libera”, “finalmente sollevata per un po’ dal peso di essere una ‘ragazza madre'”. Urgenza che si era persino “accresciuta” negli ultimi giorni quando la bimba per il caldo “era più capricciosa”. Probabilmente per questo decise “di anticipare il weekend e partire già giovedì”. Voleva a tutti i costi “preservare quella relazione già in crisi”. Il giudice ha escluso l’aggravante della premeditazione, confermando i futili motivi, ma “il quadro potrebbe decisamente cambiare” se dall’autopsia, che non è stata ancora fissata, venisse fuori che la madre le aveva “somministrato” benzodiazepine.