Il centrodestra vince le elezioni con il 43,81% dei suffragi che, grazie alla legge elettorale, si tradurrà in un numero di seggi superiore alla maggioranza assoluta (sono ancora in corso al Viminale i conteggi per l’assegnazione dei seggi del proporzionale). Un centrodestra a trazione Fdi, o meglio a trazione Giorgia Meloni, visto che la maggior parte dei commentatori attribuisce a lei la performance del suo partito che, inaspettatamente non sfonda al Sud bensì al Nord, dove è ovunque il primo partito. Il Pd regge nelle grandi città, dove va bene anche il Terzo Polo di Calenda, mentre M5s – pur crollando dal 32,6% al 15,5%, è a tutti gli effetti una Lega Sud, dove viaggia oltre il 30%. Ma il primo partito assoluto di questa tornata è, con il 36,09%, l’astensione, che in alcune Regioni del Sud sfiora il 40%. Sono questi i principali elementi che emergono dai risultati delle urne di domenica, secondo i dati diffusi dal Viminale.
“Le elezioni del 2022 – ha osservato il Cise (Centro italiano studi elettorali) della Luiss – segnano uno storico e drammatico calo della partecipazione elettorale. La diminuzione in punti percentuali rispetto alla precedente tornata è la più ampia della storia repubblicana (dal 72,9% del 2018 al 63,91% del 2022) e nella top-10 dei maggiori cali dell’Europa occidentale dal 1945 a oggi, rendendo l’Italia il quintultimo paese per affluenza alle urne nella regione”. Escludendo i residenti all’Estero, solo 28.052.927 cittadini hanno votato sugli oltre 46 milioni aventi diritto. In termini assoluti il partito più votato, cioè Fdi, ha ottenuto 7,2 milioni di voti, mentre il partito più votato del 2018 (M5s) ne aveva presi 10,7 milioni. Negli anni del bipolarismo il partito con più consenso viaggiava a cifre assai maggiori: 13,6 milioni nel 2008 (Pdl), o 11,9 milioni (L’Ulivo) nel 2006. La coalizione del centrodestra, ampiamente vincente e a ridosso del 60% dei seggi nelle due Camere, vede tuttavia completamente invertiti i rapporti di forza interni.
Fdi, da “cespuglio” della Lega (4,3% nel 2018) è diventato il partito trainante, grazie al suo 26%, avendo da solo molti più voti dei partiti di Salvini e Berlusconi messi insieme, appaiati attorno all’8%. Come ha sottolineato l’Istituto Cattaneo il successo del partito di Giorgia Meloni non è maturato al Sud e al Centro (governa già Abruzzo e Marche), bensì al Nord: 33,11% nel Veneto occidentale, 36,06 in quello orientale, 27,9% in Lombardia (tra sei mesi si voterà per il rinnovo del Pirellone), 26,9% in Piemonte, 32,29% in Friuli. Meloni dovrà quindi dare risposte a questo Nord produttivo che si affida ad una romana. Un risultato a prima vista sorprendente viste le istanze autonomiste delle Regioni settentrionali, evidentemente rassicurate da un partito finora centralista.
Il Sud rimane il terreno di elezione di M5s, che dal Volturno in giù ha ottenuto tutte le proprie soddisfazioni, forse accentuate dall’astensionismo complessivo del Mezzogiorno (che però ha colpito anche il partito di Conte). Il Movimento in questi territori viaggia sul 30%, con la punta del 42,65% a Napoli (ma nel 2018 era al 57,75%). Se Conte è il “re delle due Sicilie” (così sui social), il Pd, nella sconfitta, conferma di avere uno zoccolo dure nelle grandi città del centro Nord (23,5% a Roma, 23 a Milano, 24,38% a Torino), dove ottiene i migliori risultati anche il Terzo Polo di Calenda (sotto la Madonnina al 13,24%). La “costituency” del Pd è quindi molto più simile a quella del Terzo Polo che non a quella meridionalista di M5s, ponendo una questione non secondaria in un eventuale dialogo tra i Dem e i Pentastellati sia sul piano politico che su quello della strategia parlamentare nell’opposizione al governo del centrodestra.