LONDRA – Scusate il ritardo. Ci sono volute sei settimane in più, ma alla fine la Gran Bretagna ha il nuovo primo ministro che nelle stanze dei bottoni ci si attendeva fin dalla caduta di Boris Johnson. Rishi Sunak, 42enne ex cancelliere dello Scacchiere, di casa nel mondo della finanza e gradito (con riserva) dai mercati, è stato proclamato senz’avversari leader del Partito Conservatore, in maggioranza a Westminster; e di conseguenza, automaticamente, capo del governo di Sua Maestà: il terzo in tre anni di legislatura, fra crisi interna e internazionale, dopo gli scandali e i complotti che in estate avevano segnato la recalcitrante uscita di scena di BoJo; e l’interregno tanto fugace quanto catastrofico di Liz Truss, travolta dal terremoto finanziario e politico innescato da un avventuroso tentativo di manovra fiscale in deficit.
Il suo mandato inizia sotto una cappa di ombre per il Regno della Brexit, fra divisioni interne, perdita evidente di credibilità e di stabilità, lacerazioni sociali e contraccolpi della crisi internazionale cui la guerra russa in Ucraina contribuisce a dare uno sfondo sinistro. Ma pure all’insegna di novità storiche senza precedenti: suggellate dallo sbarco a Downing Street number 10 del primo figlio di una minoranza etnica dell’ex impero, della prima personalità di radici familiari indiane, del primo capo di governo di fede indù e del primo mai insediato – nel passaggio di testimone con Truss a Buckingham Palace – da re Carlo III, salito al trono l’8 settembre scorso dopo i 70 anni di regno di Elisabetta II.
“Il Regno Unito è un grande Paese, ma non c’è dubbio che ci troviamo di fronte a una profonda sfida economica”, ha esordito Sunak fra emozione e orgoglio dopo la designazione, evocando l’incarico ricevuto come “il più grande privilegio della vita”, oltre che come un’opportunità per “contraccambiare” quanto ricevuto da una patria d’elezione “a cui devo molto”. La sua promessa – da super funzionario dello Stato, più che da tribuno, nell’immagine che sembra proiettare – è ora quella di “lavorare giorno dopo giorno” per restituire “unità e stabilità al Regno, come al partito di maggioranza che lo governa; e per “attuare gli impegni presi col popolo britannico” nel manifesto elettorale del 2019, pur con gli aggiustamenti che evidentemente la congiuntura impone.
Indicazioni che sono anche una prima risposta negativa alle rinnovate richieste di elezioni anticipate (rovinose in questo momento sulla carta per i Tories) fatte a gran voce dal Labour di Keir Starmer come dalle altre forze d’opposizione (in testa i bellicosi indipendentisti scozzesi dell’Snp della first minister del governo locale di Edimburgo, Nicola Sturgeon), in nome d’un presunto difetto di “legittimazione democratica” della sua “incoronazione”. Ma che fanno pure il paio con parole chiavi quali “competenza e integrità”: richiamo interno alla stessa parrocchia Tory volto a marcare una qualche discontinuità – al di là degli omaggi dell’onore delle armi di rito – sia con la leadership carismatica, ma rapsodica e divisiva rimproverata da più parti a Johnson; sia con quella inesistente – al netto di slogan ideologici su “crescita e tagli di tasse” ripetuti a macchinetta – mostrata da Truss.
A dargli forza è quanto meno l’epilogo netto, stavolta, dell’ennesima partita a scacchi sulla leadership conservatrice. Chiusa per acclamazione dai soli deputati del gruppo parlamentare, senza il rischio di quel ballottaggio dinanzi alla base militante degli iscritti che lo aveva condannato a settembre: dopo la rinuncia ieri sera all’idea d’un clamoroso quanto stravagante tentativo di ritorno ravvicinato a Downing Street da parte di BoJo (che pure si dichiara minacciosamente convinto di dover solo rinviare “al momento giusto” l’ennesima resurrezione e di “avere ancora molto da dare”); e dopo il ritiro dell’ultimo minuto dell’unica concorrente in lizza, la ministra Penny Mordaunt, riallineatasi con “Rishi” in cambio di una probabile poltrona di peso nella compagine riveduta e corretta da formare nelle prossime ore.
Giusto in tempo per tornare a mettere le mani sulla cruciale finanziaria d’autunno che il cancelliere della neo austerity Jeremy Hunt – se confermato – dovrà illustrare lunedì 31 in Parlamento come prima risposta alla crisi e alle richieste di chiarimento su coperture delle misure fiscali, indebitamento, tagli alla spesa pubblica e dati di previsione su inflazione e recessione avanzate dai mercati. Non a caso prudenti, oggi, al pari della sterlina, nel giorno di Sunak: al di là del sollievo di poter rivedere un giovane veterano della City alle leve di comando.