“La Corte d’appello ha contraddittoriamente e illogicamente assolto gli imputati Subranni, Mori e De Donno”. Ecco cosa c’è scritto nel ricorso della Procura di Palermo sulla sentenza del processo sulla trattativa Stato-mafia. “La corte – spiegano i magistrati – si è basata sul presupposto erroneo che gli stessi abbiano agito con finalità ‘solidaristiche’, e comunque in assenza del dolo – anche sotto forma della volizione eventuale e pertanto accettata -, ovvero di aver agito per alimentare la spaccatura asseritamente già esistente (ut infra) in Cosa nostra tra l’ala stragista e l’ala moderata, amplificando, oltremodo, i motivi dell ‘agere illecito, pacificamente, irrilevanti ai fini della connotazione dell’elemento soggettivo”.
Per la Procura “una tale valutazione non può essere condivisa, posto che, innanzi tutto, contraddice quanto dalla stessa Corte affermato in modo chiaro ed esplicito. Le conclusioni cui è pervenuta la Corte di appello non possono dunque essere condivise, poiché adottate sulla scorta di una palese erronea applicazione della legge penale e in conseguenza, anche, di una evidente contraddittorietà del percorso logico-argomentativo, peraltro carente e sovente irrazionale”.
Le motivazioni della sentenza di appello erano state depositate lo scorso 6 agosto, dopo quasi anno. Erano stati assolti “perché il fatto non costituisce reato” l’ex senatore Marcello Dell’Utri, il generale Mario Mori, il generale Antonio Subranni e l’ufficiale dei carabinieri Giuseppe De Donno, tutti e tre ex ufficiali del Ros, mentre era stata ridotta a 27 anni la pena per il boss corleonese Leoluca Bagarella. In primo grado erano stati condannati a 28 anni di carcere Bagarella, a 12 anni Dell’Utri, Mori, Subranni e Cinà e a 8 De Donno.