CATANIA – Un’operazione antimafia contro 24 presunti appartenenti al clan dei Cursoti milanesi è stata eseguita la notte scorsa dalla polizia di Catania. In 20 sono stati portati in carcere, altri tre sono stati posti agli arresti domiciliari e una donna è stata sottoposta all’obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria. L’inchiesta, coordinata Direzione distrettuale antimafia, ipotizza, a vario titolo, i reati di associazione mafiosa, estorsione, traffico di cocaina e marijuana, porto e detenzione di armi da fuoco, spaccio di sostanze stupefacenti, danneggiamento commesso con l’uso di armi da fuoco e ricettazione.[fvplayer id=”344″]
Le indagini, condotte tra novembre del 2018 e settembre del 2019, si è incentrata sul clan mafioso dei Cursoti Milanesi, tradizionalmente attivo nella zona di San Berillo Nuovo. Attraverso intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, videoregistrazioni e dichiarazioni rese da quattro collaboratori di giustizia, l’indagine ha ricostruito le dinamiche interne al clan mafioso dei Cursoti Milanesi, ritornato a esercitare il pieno controllo sull’intero rione San Berillo Nuovo, comprese quelle parti del quartiere che, nel recente passato, erano passate sotto il controllo del clan Cappello-Bonaccorsi, come la zona di corso Indipendenza. Le indagini hanno interessato entrambe le frange che storicamente compongono il clan dei Cursoti Milanesi: il gruppo capeggiato dai fratelli Francesco Di Stefano, inteso “pasta cà sassa”, e Carmelo Distefano, figli dello storico capoclan Gaetano Di Stefano, inteso “Tano sventra”, e il gruppo riconducibile a Rosario Piterà, inteso “u furasteri”, quest’ultimo poi deceduto nel 2020.[fvplayer id=”342″]
Sono stati cristallizzati diversi momenti di fibrillazione interna al clan anche per l’ascesa criminale di Carmelo Distefano ai danni del gruppo storico facente capo a Rosario Piterà, sfociati in una serie di episodi di violenza con l’utilizzo di armi da sparo. Un membro del clan, Nicola Christian Parisi, inteso “u scinziatu”, sotto l’egida dell’anziano Rosario Piterà, si sarebbe contrapposto a sua volta alla frangia dei fratelli Di Stefano per il controllo dell’organizzazione e delle piazze di spaccio di San Berillo Nuovo. In questo contesto, si inserisce il tentato omicidio con armi da fuoco ai danni del cognato di Parisi, Giuseppe La Placa, inteso “u sfregiatu”, avvenuto la notte del 12 novembre del 2018 a San Berillo Nuovo a causa di contrasti sorti in seguito al presunto rientro di quest’ultimo nel clan Cursoti Milanesi, dopo essere transitato in passato nel clan Cappello-Bonaccorsi.[fvplayer id=”345″]
Scarcerato il 24 agosto del 2018, Carmelo Di Stefano sarebbe riuscito a compattare sotto la propria leadership le due fazioni familiari che costituiscono l’ossatura del gruppo, sedandone le tensioni interne e ridimensionando le presunte aspirazioni di vertice di Parisi che si sarebbe poi allineato ai voleri del capoclan tornato in libertà. Ricostruito anche l’organigramma della consorteria mafiosa, il cui vertice è stato individuato proprio in Carmelo Distefano, che sarebbe stato coadiuvato dai luogotenenti Natale Gurreri e Giuseppe Piterà, quest’ultimo legato da vincoli di parentela con lo storico capoclan Rosario Piterà. Identificati i presunti gregari dell’organizzazione, ai quali i vertici avevano assegnato compiti esecutivi, come la gestione delle varie piazze di spaccio del rione San Berillo Nuovo o la riscossione di estorsioni, e che avrebbero agito sotto il diretto comando di Carmelo Distefano e dei suoi luogotenenti.
Durante l’attività, gli investigatori hanno documentato diversi summit di mafia tra esponenti del clan Cursoti Milanesi ed esponenti di rango del clan Cappello-Bonaccorsi finalizzati a mediare alcuni contrasti di natura economica sorti tra le due consorterie mafiose. Coinvolti dunque alcuni storici affiliati al clan Cappello-Bonaccorsi come Carmelo Fazio, inteso “Melo biduni”, e Carmelo Zappalà, inteso “u tunnacchiu”.
Acquisiti riscontri su un’estorsione consumata in danno del titolare di un parcheggio a San Berillo Nuovo, costretto a versare negli anni svariate somme di denaro ai riscossori del clan succedutisi nel tempo, e una tentata estorsione ai danni di un imprenditore locale. L’indagine ha poi dimostrato il monopolio esercitato dal clan Cursoti Milanesi sulle numerose piazze di spaccio a San Berillo Nuovo, i cui gestori sarebbero stati obbligati a rifornirsi di cocaina e marijuana da Carmelo Distefano, assicurando al clan ingenti proventi illeciti che confluivano nella cassa comune dell’organizzazione, gestita dallo stesso Distefano insieme a Gurreri.
L’approvvigionamento di cocaina proveniva da Napoli. Individuati i fornitori partenopei, pregiudicati del clan camorristico Sautto-Ciccarelli di Caivano. Ricostruito, dunque, il traffico di cocaina sull’asse Campania-Sicilia, nell’ambito del quale sarebbe stato delineato il ruolo degli indagati Lorenzo Cristian Monaco e Luigi Scuderi, affiliati al clan Cappello-Bonaccorsi, che avrebbero agito quali trafficanti di cocaina in joint venture col clan camorristico del Napoletano.
Effettuati diversi sequestri di droga, anche con l’arresto del corriere napoletano Salvatore Sanges nel luglio del 2019, trovato in possesso di 3 kg di cocaina destinati al mercato catanese.
Le indagini hanno ribadito la pericolosità dei membri del clan dei Cursoti Milanesi che si dotavano di armi per presidiare il territorio e difendere i loro affari criminali da eventuali ingerenze da parte di gruppi mafiosi rivali. Durante l’attività sono state sequestrate alcune delle armi in dotazione al clan, tra cui un fucile mitragliatore AK 47 (completo di confezione di 50 cartucce calibro 7,62×39), due pistole e un fucile a canne mozzate. Infine, l’indagine ha accertato che parte dei proventi erano destinati al mantenimento degli affiliati detenuti e delle loro famiglie di cui i capi del clan si erano fatti carico. E’ emersa la consuetudine da parte delle famiglie mafiose più rappresentative del panorama catanese di allestire bische clandestine con investimenti comuni e destinarne i proventi al sostentamento dei detenuti di maggior rango. Nell’operazione, denominata Zeus, sono stati impiegati quasi 200 operatori della Polizia.
I NOMI. Sono destinatari della custodia in carcere: ARCIDIACONO Lorenzo (cl.1986); ARDIZZONE Giuseppe Agatino (cl.1993); D’AMBRA Andrea (cl.1996); D’AMBRA Massimiliano (cl.1985); DISTEFANO Carmelo (cl.1970); FAZIO Carmelo (cl.1960); GAROZZO Antonino (cl.1991); GARUFO Orazio (cl.1972); GURRERI Natale (cl.1975); LICCIARDELLO Giuseppe (cl.1998); LICCIARDELLO Pietro (cl.1969); MONACO Salvatore Manuel (cl.1996); PARISI Nicola Christian (cl.1978); PITERÀ Gabriele Giuseppe (cl.1982); PITERÀ Giuseppe (cl.2000); SAUTTO Gennaro (cl.1980); SCAGLIONE Filippo (cl.1974); SCUDERI Luigi (cl.1988); SETTEDUCATI Fabio (cl.1994); ZAPPALA’ Carmelo (cl.1966). Sottoposti agli arresti domiciliari: PIGNATARO Pasquale (cl.1977); RAGUSA Angelo (cl.1982); PLATANIA Giuseppe (cl.1995). Destinataria dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria: PITERA’ Santa (cl. 1972).
“Le indagini hanno evidenziato, tra l’altro, il coinvolgimento dei presunti appartenenti nella gestione di piazze di spaccio a Catania – ha affermato Francesco Messina, direttore centrale anticrimine della polizia -, e in particolare nella zona della stazione ferroviaria, dove venivano cedute cocaina e marijuana con introiti di 50 mila euro al mese”.
“La gestione delle piazze di spaccio – ha sottolineato Messina – rappresenta una sorta di filo rosso che unisce gli interessi delle diverse compagini criminali mafiose, operanti in tutta Italia. Anche l’indagine Zeus dimostra che la gestione di questi mercati di stupefacenti consente di acquisire una provvista in nero poi utilizzata sia per i bisogni urgenti delle organizzazioni criminali sia per finanziare complessi canali internazionali di ripulitura del denaro provento delle vendite e di conseguente riciclaggio. Il contrasto sistemico a tali realtà criminali costituisce un obiettivo strategico della Direzione centrale anticrimine sull’intero territorio nazionale”.