Bella la vita quando racconti le vicende di un archeologo che schiva pallottole mentre cerca il Graal o di uno squalo che pappa tutti. Ma prima di portare al cinema la sua, di vita, Steven Spielberg avrebbe dovuto fare un colpo di telefono dalle nostre parti: “Scusate, com’è andato da voi il film di Sorrentino, quello in cui parla di se stesso?”. Male, gli avrebbero risposto, perché anche il più grande regista d’Italia (e forse non solo) fa un figurone se maneggia Andreotti, Berlusconi e Jep Gambardella, ma arranca come uno qualunque al momento di romanzare un’esistenza alla Mario Rossi.
“The Fabelmans” fa felici tutti: il pubblico post Covid che a Natale si scaraventa a vedere la genesi dell’homo hollywoodianus per eccellenza, la critica che si sbrodola appena sniffa da lontano “l’omaggio al cinema” di uno dei mammasantissima della macchina da presa, con la folgorazione del bimbo Steven che guarda in sala “Il più grande spettacolo del mondo” di Cecil B. DeMille, la sublime poesia della prima videocamera e via citando fino a David Lynch nei panni di John Ford. Roba da orgasmi multipli.
Poi, a voler essere un po’ più attenti, si scopre che il film per buona parte dei suoi 151 minuti non è tanto la storia di baby Spielberg, ma di una madre problematica, piena di vita e di talento eppur separata dal suo vero amore e ristretta in una vita insufficiente. E che tutte queste emozioni, se non c’è Indiana Jones che si lancia da un ponte con la frusta, Spielberg davvero non le sa suscitare, quando deve descrivere se stesso da ragazzo. Per il semplice motivo che non era esattamente né un simpaticone né un cuor sensibile per cui parteggiare.
La mamma ha una relazione con il migliore amico di papà? E vabbé, che vuoi che sia, giusto lo stupore iniziale quando la sorprende in secondo piano nei suoi filmini. La prima fidanzatina lo lascia? Dimenticata dopo cinque minuti. L’importante è giocare a fare il regista. Il grande messaggio in realtà è proprio questo: i super geni non sono sempre sempre delle perle di esseri umani, ma mica si può volere Gandhi e Van Gogh nello stesso corpo.
Qui piuttosto c’è da decidere se è vera quella vecchia storia che Steven è un padreterno con l’intrattenimento chiassoso ma non altrettanto bravo in assenza di tirannosauri assassini, come dimostrano negli ultimi anni i soporiferi “The post” e “Il ponte delle spie” e lo scintillante “Ready player one”. Alla luce di The Fabelmans il sospetto c’è. E d’altra parte Spielberg che cosa ci può fare se da piccolo non ha incontrato E.T.?