PALERMO – I carabinieri di Palermo hanno eseguito nove fermi nei confronti di altrettanti esponenti del mandamento mafioso di Porta Nuova accusati di associazione di tipo mafioso, estorsione, consumata e tentata con l’aggravante del favoreggiamento alla mafia e traffico di droga. Tra i fermati ci sono Franco e Massimo Mulè, padre e figlio scarcerati dopo una serie di ricorsi. Il boss Francesco, detto Zu Franco, era all’ergastolo, ma era tornato libero nel 2018, godendo di una legge, la Carotti, rimasta in vigore pochissimo tempo. Tanto quanto è bastato per venire scarcerato dopo 23 anni trascorsi in cella.
[fvplayer id=”385″]
L’anziano boss era stato condannato per mafia e all’ergastolo per tre omicidi. Anche “U Nico”, Massimo Mulè, è finito in questa nuova inchiesta. “Deve parlare con mio figlio? Deve parlare con me… a mio figlio lo deve lasciare… a me mi arrestano e mi mandano ai domiciliari”, diceva il padre a chi gli chiedeva un incontro con Massimo. Lo avrebbe tenuto a riparo dai rischi. Ma Francesco Mulè era tornato al comando. Il figlio Massimo che attendeva la sentenza d’appello per martedì poteva scappare. “Parlando con te vogliamo partire… glielo lasciamo a lui e tu viene con me, come lo facciamo il viaggio?”, diceva il padre, parlando di un ragazzo che li avrebbe potuti accompagnare fuori città.
L’organizzazione imponeva a tappeto il pizzo nel mercato di Ballarò e nella zona della stazione centrale a Palermo. “Qua pagano tutte le bancarelle Bangladesh”, diceva Massimo Mulè. Tante attività commerciali erano sottoposte a estorsione: un bar di piazza Magione, un ristorante del Foro Italico, un’edicola in corso Tukory. E, come già era venuto fuori in altri quartieri in passato, i boss per cercare di evitare problemi avrebbero imposto la tangente costringendo i commercianti ad acquistare i tagliandi per una riffa clandestina. Dalle intercettazioni, però, emerge anche che diversi affiliati non avrebbero ritenuto i Mulè i migliori boss possibili anche perché si sarebbero “fottuti i picciuli” e qualcuno rimpiangeva “i bei tempi in cui c’era Alessandro D’Ambrogio, ora recluso al 41 bis”.
Le indagini hanno accertato che i summit di mafia venivano organizzati in una sala da barba gestita da uno degli indagati. Alle riunioni partecipavano i vertici della famiglia mafiosa di Palermo Centro ( che controlla i quartieri di Capo, Ballarò, Kalsa e Vucciria). I fermati si sarebbero occupati della gestione degli affari del territorio e della risoluzione delle controversie private soprattutto nello storico mercato di Ballarò. La cosca avrebbe concesso la autorizzazione per l’apertura e la cessione degli esercizi commerciali nel territorio di sua “giurisdizione” criminale, avrebbe controllato il contrabbando di sigarette, la gestione dei mercati rionali anche avallando o negando l’installazione di una bancarella per vendere la merce.
Al centro dell’attività del clan c’era il traffico di sostanze stupefacenti il cui ricavato andava al sostegno delle famiglie dei detenuti. In base alle indagini ci sarebbe una rigida regia mafiosa delle piazze di spaccio, nell’ambito delle quali opererebbero solo pusher preventivamente autorizzati dai boss, che farebbero, poi, riferimento ai capi piazza. Il provvedimento è stato deciso anche per il pericolo di fuga di uno dei capi che sarà giudicato a breve nel processo d’appello su Cupola 2.0.
L’elenco dei fermati: Francesco Mulè, 76 anni detto Zu Francu”, Massimo Mulè, 50 anni, detto “U Nicu”, Gaetano Badalamenti, 53 anni, detto “U zio”, “Mangeskin”, “U romano”, “Roma”, “Ricotta” “Capitale”, Francesco Lo Nardo, 63 anni detto “Sicarieddu”, “Sicarru”, Giuseppe Mangiaricina, 43 anni, detto Pitbull, Alessandro Cutrona, 38 anni detto “Tettina” “U Pacchiuni”, Calogero Leandro Naro, 28 anni, detto “Leo”, “U pugile”, Salvatore Gioeli, 56 anni, detto “Mussolini”, “Benzina”, “Pompa”, Antonio Lo Coco, 68 anni, detto “Peppuccio”.